Roberto Fabbri
«Sono certo che non rimarremo in Irak un minuto di più rispetto al volere delle autorità irachene». Gianfranco Fini, avvicinato dai giornalisti a Barcellona dove ha partecipato al vertice Euromediterraneo, torna sul tema del ritiro delle truppe italiane dal Paese che fu di Saddam Hussein e ribadisce il concetto: è necessario un collegamento tra la fine della nostra presenza militare a Nassirya e le richieste del legittimo governo dellIrak. Ma non solo a quelle. Il nostro ministro degli Esteri ha citato anche «le condizioni di sicurezza» e la volontà «delle forze che come noi sono impegnate in Irak».
Fini ha inoltre espresso una valutazione a proposito dei tempi del rientro dei nostri soldati e più in generale delle truppe della coalizione dallIrak. Il ministro ritiene che Bagdad stia facendo progressi verso il traguardo di una gestione autonoma della propria sicurezza, e ha detto di credere che «le autorità irachene siano già oggi nelle condizioni di prevedere il ritiro entro il 2006».
Il ministro degli Esteri italiano ha poi toccato largomento dello status di Gerusalemme, riportato alla ribalta nei giorni scorsi dalla pubblicazione su alcuni giornali stranieri di un documento britannico fortemente critico nei confronti delle mosse di Israele per rendere arduo, se non impossibile, che la parte orientale della città santa diventi in futuro la capitale dello Stato palestinese.
Già nel corso della cena di lavoro di domenica a Barcellona fra i trentacinque ministri degli Esteri del partenariato mediterraneo Fini aveva, secondo fonti della Farnesina, sostenuto che lo status di Gerusalemme non dovesse essere pregiudicato, e si era detto «preoccupato per il tracciato della barriera difensiva» costruita dagli israeliani «e per lespansione degli insediamenti ebraici attorno alla parte est di Gerusalemme». Ieri, incontrando i giornalisti nella capitale catalana, il ministro degli Esteri ha aggiunto che «lunica strada percorribile per arrivare allobiettivo di avere due popoli e due Stati è la Road Map», il piano di pace portato avanti dal cosiddetto Quartetto (Stati Uniti, Europa, Russia e Onu). Fini ha ricordato che la Road Map «è un percorso che prevede anche la definizione dello status giuridico di Gerusalemme» e che «interpretare un richiamo alla Road Map in modo difforme al contenuto è per lo meno bizzarro».
Nel documento compilato da diplomatici britannici - erroneamente attribuito allUe che lo ha comunque tenuto in considerazione in vista della produzione di un proprio documento ufficiale - venivano espresse forti preoccupazioni per lintenzione israeliana di circondare la parte araba di Gerusalemme con un cordone di nuovi quartieri residenziali ebraici costruiti su terreni palestinesi. Obiettivo di questa politica, si leggeva nel documento, sarebbe quello di separare di fatto Gerusalemme Est dal resto della Cisgiordania, rendendo poi definitiva la nuova situazione per mezzo del muro di confine. In tal modo, contrariamente a quanto prevede la Road Map, Gerusalemme ben difficilmente potrebbe diventare la capitale condivisa di due Paesi vicini e in pace.
Fini ha detto che se i nuovi insediamenti israeliani e la costruzione della barriera «prefigurassero una condizione irreversibile» sarebbero «certamente» un ostacolo alla pace.
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