Zapatero scende le scale, con lui solo Sonsoles, la moglie fedele. Attorno c’è il vuoto. Sono da poco passate le 10 di mattina e il premier ha appena votato. Un gruppo di persone lo aspettano e gridano: «Fuori, fuori. Vattene». Zapatero è al capolinea. Ha chiuso con la politica, lo ha annunciato lui stesso un paio di mesi fa, e comunque sa che non potrebbe essere diversamente: il Paese gli ha voltato le spalle, e il partito socialista è a pezzi. Sono mancate le risposte per i laureati che cercano lavoro, per i precari che si sentono presi in giro, per i figli della classe media che studiano ma che sanno di non avere prospettive. Guardi Puerta del Sol e sembra piazza Tahrir in Egitto. Da una settimana, ogni giorno, migliaia di giovani si danno appuntamento in 67 piazze del Paese. Sono gli indignados, organizzano presidi, e protestano contro caste e privilegi, ma soprattutto contro un futuro che non esiste più. Sono infuriati, e Zapatero è l’indiziato numero uno. Il suo partito è allo sbando, ha perso anche Barcellona (che controllava dal 1979), Siviglia e la regione di Castilla-Mancha; a Madrid maggioranza assoluta per il partito popolare. I 35 milioni di elettori chiamati al voto, sono stati influenzati dagli indignados, che in questi giorni hanno chiesto di non andare a votare, di lasciare la scheda bianca, per protesta. I socialisti sanno che l’astensionismo è aumentato a sinistra, tra gli elettori disillusi di Zapatero. In tarda serata il premier socialista riconosce che il suo partito «ha perso chiaramente le elezioni». Zapatero si è congratulato «con il Partito popolare e con i suoi candidati, che hanno ottenuto un risultato molto buono. Noi abbiamo vinto molto, sappiamo vincere, ma sappiamo perdere», ha concluso prima di escludere la ricandidatura alle politiche previste per marzo 2012.
Sono due anni che la Spagna ha smesso di fare miracoli, e negli occhi della gente c’è sconforto. La sbornia era iniziata nel 2004, allora si respirava ottimismo e cambiamento. L’attentato dell’11 marzo aveva lasciato paura e indignazione, c’era voglia di ripudiare la politica di Aznar, di ritirare i soldati dall’Irak. Zapatero sembrava la soluzione per tutto, lui si presentava come il nuovo. Aveva sfruttato l’economia che andava alla grande, la disoccupazione era ai minimi storici. Il premier progressista distribuiva diritti a tutti: gay, coppie di fatto, minorenni con necessità di abortire. La Spagna sorpassava un’Italia che rincorreva e invidiava un Paese vincente. Poi lo sbaglio, clamoroso terribile. Due anni fa il premier nascose fino all’ultimo momento la brutalità di una crisi che avrebbe spazzato via ogni speranza spagnola.
Oggi Zapatero si ritrova a raccogliere i resti di un fallimento clamoroso, di un partito che è a pezzi. Queste elezioni amministrative e regionali sono state un disastro. Il Paese è sofferente, deve tentare di rimanere a galla, ma non è facile, mancano fondi, e la più grande paura è la prospettiva di una bancarotta in stile Argentina. Per questo gli indignados sono scesi in piazza, vogliono chiudere prima di tutto con i politici corrotti, ma soprattutto sono in piazza per un futuro. Il sogno spagnolo si è infranto sotto gli occhi di tutti. Lo sviluppo, il boom edilizio, l’occupazione e l’ottimismo hanno lasciato il posto alla delusione di chi si ritrova a trent’anni con un futuro tutto da costruire e nulla di concreto da cui cominciare. Oggi la Spagna è un Paese per vecchi, con un tasso del 44,6 per cento di disoccupazione giovanile. Così tantissimi ragazzi sono dovuti tornare a casa dai genitori, a farsi mantenere. Ci sono 5 milioni di disoccupati, il 21 per cento della forza lavoro. Con le votazione di oggi si conclude un’epoca. Il sole tramonta sul Psoe. Il vantaggio dei Popolari di centro-destra sui Socialisti alla fine è di 10 punti. La conta assegna il 37,53% al PP e il 27,85% al Psoe con oltre il 90% dei voti scrutinati negli 8.000 tra comuni, regioni autonomi per cui si è votato. Zapatero stringe la mano di Sonsoles. La settimana appena passata è stata la più dura.
Il partito aveva organizzato comizi e dibattiti nelle roccaforti storiche.
Mercoledì a Cáceres, in Estremadura, Zapatero ha incontrato i più affezionati. «Se mi vorrete chiamare io ci sarò, potete contare su di me». «Bambi» come lo chiamano aveva gli occhi lucidi. Era commosso perché sapeva che con la politica ha chiuso per sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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