Pekka ha sempre avuto l’aria gentile. Capelli biondi, pettinati a spazzola, occhi chiari. E sorrideva sempre. Persino quando educato ha bussato alla porte della prima B, della terza C, dell’aula professori. Qualcuno ha cercato di aprirgli ma non ne ha avuto il tempo. Lui ha fatto fuoco subito. Sempre con un sorriso.
Il professor Kim Kiuru lo ha incrociato in corridoio, come ogni mattina, ha alzato appena la mano per accennare un saluto. Ma c’era qualcosa in quella scena che non tornava: «Sembrava irreale: un mio alunno che correva verso di me gridando, con una pistola in mano». Una Sig Seuer calibro 22. L’aveva estratta dallo zainetto durante la lezione, un paio di minuti prima, e aveva cominciato a sparare senza guardare dove. Al prof è andata bene. Uno dei suoi allievi è rimasto fulminato davanti alla porta della classe, un’altra l’hanno trovata sotto il cartellone degli orari, ore 10 matematica, ore 11 chimica. Con un filo di sangue che le usciva dalla testa.
Pensare che sembrava una mattina come tante altre, nessuno poteva immaginare che per qualcuno sarebbe stata l’ultima. Mezzogiorno meno un quarto, liceo Jokela, 500 studenti, tutti di Tuusula, 30mila abitanti, a una quarantina di chilometri a nord di Helsinki. È qui che Pekka infila una strada che non ha più ritorno. Tehri Vayrynen, che ha diciassette anni e studia lì, è stata una delle prime a vederlo, sbirciando distratta dalla finestra della classe: l’ha visto andare incontro alla preside, all’esterno della scuola e spararle a bruciapelo, senza dire una parola. Poi è entrato nella aule, ha gridato «questa è la rivoluzione, spaccate tutto...», ma nessuno s’è mosso, pietrificato dal terrore, con una logica infantile e feroce ha cominciato a sparare alle finestre, allo schermo della televisione e poi direttamente alle teste. Ha risparmiato solo i bambini delle medie. Chi l’ha visto muoversi per i corridoi racconta di un’ombra che rapida fuggiva via.
Di certo li aveva avvisati tutti, su Youtube, con un video che aveva come titolo il suo programma scolastico della mattina: «Jokela High Scholl Massacre». Ci ha messo di sottofondo musica hard rock, si è messo in posa davanti alla telecamera con la sua Sig Seuer e l’ha firmato «Sturmgeist89», lo «spirito della tempesta». Di fianco quello che avrebbe dovuto essere il suo testamento: «Eliminerò tutte le disgrazie del genere umano e i fallimenti della selezione naturale». Ne ha eliminati otto, cinque ragazzi, due ragazze e la direttrice del liceo, ma non è finita qui, perchè dodici sono feriti, alcuni gravissimi. Condannati a morte da un’ossessione. Lui invece è stato l’ultimo a morire. Si è puntato la pistola alla tempia ma non è stato preciso come con i suoi compagni di scuola. È morto all’ospedale Toolo di Helsinki ore dopo.
Pekka-Eric Auvinen aveva diciotto anni, «veniva da una famiglia normale, due genitori e un fratello, e non aveva alcun problema a scuola», spiega l’ispettore Jan-Olav Nyholm con l’aria di chi non sa darsi una spiegazione ormai più di niente. E che ora sta cercando di dare un nome a quei corpi coperti da un lenzuolo che fino a un attimo fa erano sorrisi. Pekka era incensurato e aveva preso il porto d’armi appena un mese fa. Un ragazzo con poche passioni, Hitler e Stalin, un’idea un po’ confusa di se «sono un ateo che si crede un dio» e un paio di convinzioni tutte sue: «La razza umana va annientata, non dev’esserci compassione per la feccia della Terra».
Non era mai successo niente da queste parti, gente tranquilla, poche tensioni.
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