Fiom insiste, ma se è collettivo il contratto non funziona più

Non solo su giornaletti estremizzanti, ma persino sulla Repubblica c’è chi, oggi, accusa la Fiat - la società torinese non piace più allo snobismo di sinistra da quando ha scelto di dedicarsi essenzialmente a produrre auto invece che impicciarsi di politica - perché vorrebbe creare un clima alla cinese nei suoi stabilimenti italiani: niente diritti, salari bassi, competizione da attuare esclusivamente con il taglio dei «costi». La Federmeccanica e la Confindustria sarebbero complici di questo criminale disegno acconsentendo alla disdetta del contratto di settore ed essendo disponibili a un nuovo contratto «capestro» su misura dell’industria dell’auto.
Valutazioni di tal fatta sono deliranti: in realtà, la Fiat vuole investire ben 20 miliardi sull’auto italiana altro che competizione da taglio dei costi, Federmeccanica vuole applicare un contratto che è stato firmato da Fim-Cisl e Uilm nel 2009 e accettato dai lavoratori (le proteste contro questo accordo della Fiom Cgil, isolata da tutti, sono state particolarmente flebili), il nuovo contratto sull’auto, auspicato da Federmeccanica e Fiat, nascerà non per inseguire modelli di schiavismo cinese, bensì per adeguarsi alle forme di partecipazione dei lavoratori al destino delle proprie società che si sono sperimentate alla Volkswagen e alla Chrysler. Insomma, si tratta di far crescere nuovi diritti d’informazione, partecipazione alla redistribuzione degli utili, gestione bilaterale dei problemi di welfare e lavoro, altro che conculcare quelli antichi.
Certo si sta determinando una riforma del sistema di contrattazione che può apparire per certi versi accelerata: il vecchio contratto collettivo che regolava gli elementi principali delle condizioni di lavoro e dei salari, tende a divenire sempre più una pura cornice generale che fissa gli elementi quadro immutabili e più che altro un salario di base. Tutti gli altri aspetti del rapporto di lavoro dovranno essere gestiti a livelli diversi: di settore, territoriali e soprattutto d’azienda. Questo processo è inevitabile perché non fa che conformare la contrattazione alle nuove caratteristiche del lavoro che generalmente non è più di tipo fordista, cioè centrato sulle catene di montaggio, facilmente inquadrabile in pochi parametri normativi e salariali.

L’accelerazione più o meno positiva nasce invece dalla follia del gruppo dirigente della Fiom che non prende atto della realtà e cerca di impedire ogni trasformazione razionale: in questa posizione disperata vi è insieme l’espressione di un grumo identitario (come il mito dell’autunno caldo) e una speranza corporativa (alla fine la paura del conflitto costringerà «qualcuno» a cacciare i soldi per rimandare le modernizzazioni) che spinge la maggioranza del gruppo dirigente dei metalmeccanici Cgil a negare persino l’isolamento che referendum dopo referendum, elezione di rappresentanze sindacali dopo elezione di rappresentanze sindacale, la base operaia trasmette loro. Naturalmente sono forti anche le responsabilità della Cgil, del Pd, dei commentatori «illuminati» incapaci di dire con chiarezza a un settore importante del loro mondo, come stanno le cose.

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