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First ladies Le magnifiche cornute costrette a perdonare per amor di patria

Lo sappiamo tutte come si sta. È come quando ti senti perfetta per un film con Cary Grant e ti capita in sorte un copione di Ozpetek. E ti chiedi per quanto sei stata una fata ignorante e in quanti già sapevano quanto fossi ignorante. E improvvisamente diventi una creatura «malfatata» che vede solo il lato rotto delle cose, che si sente rotta, piegata storta davanti all’armadio per l’ennesimo trasloco e a domandarsi: «Cosa si porta quando non si torna più?». Sarà stata più o meno la stessa cosa anche per lei, Michelle Obama. Quanto meno quella morsa allo stomaco, quella vampata di calore ai bordi della faccia con la mascella e le tempie e il collo in fiamme ma pallidissimi. Pensare che perfino Obama, il cigno nero della Casa Bianca, il presidente del «si può fare» che riscatta milioni di persone in una sola andata elettorale, quell’uomo dalle mani lunghe e magre perennemente incrociate a quelle della moglie, persino lui, una notte (una?) è caduto vittima di un altro abbraccio, è come deporre per sempre le speranze: allora le corna ce le abbiamo proprio tutte.
Perfino alla Casa Bianca, luogo esteticamente e politicamente poco adatto per parlare di problemi dall’ombelico in giù. Eppure... Era già successo all’epoca Clinton, con tutto il clamore annesso e connesso, il «campioncino» conservato in frigorifero, la sala ovale e le scuse pubbliche dell’allora presidente. Aveva dovuto confessare Bill. E dev’essere stata una bella fatica quella volta, specie perché, assieme all’adulterio, confessava, di fatto, di aver avuto un’amante più brutta della moglie: Monica Lewinsky. Insomma corna, comunque. Pure Obama, con Vera Baker, che sembra Barack. Ma che è bellissima, giovanissima, lanciatissima (nel 2004 raccoglieva fondi per la campagna senatoriale di Obama). Sempre la stessa storia, ma non la stessa storia. Loro cornute ma first, noi cornute e basta. Il dilemma più crudele per le donne comuni, quando si apre loro la strada del tradimento, è: cosa fare? Restare stoicamente, resistere, dare prova di coraggio ammantata di responsabilità: «Figli, famiglia, impegno». O andarsene, altra scelta colorata di dignità, sotteso c’è: «Faccio da sola, i miei bambini staranno meglio, più che una compagna diventerei una lunga degente...». Qui sono condensate in poche righe. Ma non sono poche righe, è tutta una vita col suo trasloco. È una nuova impostazione che la sorte ti schiaffa in faccia. E che loro non hanno. Non le first lady, che sono esentate da questo enigma. Perché per loro scatta l’imperativo senza dilemma: «Cara signora, non può separarsi, ne va dell’America intera». Loro hanno già la scelta dimezzata. Hanno già la dignità che non bussa. Hanno già l’imperativo a cui rispondere.
La forza dei loro uomini sta (anche) nello stare con una donna. Una soltanto. Una alla volta. Guai a farsi sorprendere in eccesso di ormoni e indecisione, in allegria da eccesso. Davanti alle corna, i presidenti, e a scendere un sacco di uomini in posizioni decisive, sono costretti a rimediare, a chiedere scusa, a ricucire, a consolare, a stringere con ancora più convinzione le esili vite delle loro consorti. Perché davanti alle corna, i primi a vacillare sono loro: i colpevoli. Mentre nella vita reale, i «ganzi» sono gli altri, quelli che dichiarano di non portare rispetto a una sola donna alla volta, ma di portare piacere a molte, quelli che si dichiarano orgogliosamente imprendibili, coriacemente inimbrigliabili, quelli per cui «fa figo» non prendersi impegni, non rispettare promesse, non assolvere a doveri. E «farsi» la stagista, la ballerina, la collega, la senza-pensieri che non lo assilla con nulla e che lo fa sentire tanto virile e fresco e nuovo. E che la vita gliela fa leggera. Mica come quel catorcio che lo aspetta a casa con gli agguati della vita reale. Un trionfo sessuale capace di farlo sentire vivo, di questo ha bisogno. Tra aperitivi, e feste e amplessi sul tavolo. A una certa età il sesso non può essere casuale... Allora non è uguale, con un marito che chiede perdono in ginocchio e ti supplica di restare essere cornute da first ed essere cornute e basta. Non è la stessa cosa. Con quelle normali, che si devono gestire lacrime calde e ansie per il futuro, mentre loro sono chiamate a indossare una dentiera a ventiquattro carati che ride da sola, quando vuole. E che intanto stanno lì, senza l’ansia di dover scegliere, per amore dell’America. Mentre le altre se ne vanno a rintanarsi dove riescono, a dimenticarsi dove riescono. Perché non c’è modo di sfuggire ai fatti personali. Non si è ancora trovata nemmeno una situazione lavorativa, per esempio, che non abbia qualcosa a che fare con la famiglia, la lealtà, il sesso, il senso di colpa o con tutte e quattro queste cose assieme.
Mentre loro se ne stanno là, senza l’onere della scelta, dei bilanci e degli strappi. A sfoderare tailleur e sorrisi. Per il bene dell’America. Perché le loro corna sono una fine.

Per tutte le altre, sono solo un inizio.

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