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Fischi al Senatùr, ma il capo resta lui

I lumbard avranno pure protestato, ma il ruolo di mediatore tra le correnti lo rafforza. Bobo aspetti a esultare: i delfini vincono solo se sanno fare i leader

Fischi al Senatùr, ma il capo resta lui

Sarà anche stata, quella di ieri a Milano, la manifestazione dei fischi al Senatur . Sarà così, però c’è altro. E c’è oltre. Perché è stata anche la manifestazione che ha riconsacrato la leader­ship di Umberto Bossi sulla Lega. Il Carroccio sa­rà pure diviso e magari dilaniato, come sostengo­no alcuni osservatori, e il potere di Bossi sarà cer­tamente indebolito, ma il suo tramonto non è im­minente. Anzi. Proprio lo scontro interno fra il «Cerchio magico» dei suoi fedelissimi e i giovani leoni maroniani ha consentito a Bossi, che di tat­tica politica è un maestro indiscusso, di assume­re una posizione centrale, di mediazione e di ri­composizione, e dunque anche di riaffermazio­ne del proprio ruolo insostituibile alla guida del movimento.

La decisione di sostituire il fedelissimo Regu­z­zoni con il maroniano Dozzo alla presidenza del gruppo parlamentare, comunicata da Bossi con piglio decisionistico in un’intervista alla Pada­nia senza perder tempo in riunioni e conte, con­cede sì a Maroni una vittoria in battaglia, ma an­che lo costringe a dichiarare pubblicamente che «si è risolta una importante questione sotto la gui­da di Bossi, grazie al quale è stata trovata compat­tezza e unità». E il Senatur , generosamente, ri­cambia dal palco fra gli applausi della folla: «Non avrei mai preso una decisione contro Maroni. Tutti abbiamo fatto un passo indietro. Questa scelta di Maroni, di Reguzzoni e mia di fare passi indietro è servita a mettere da parte ogni discus­sione ».

«Unità» è la parola-chiave, ma il suo impiego nel Carroccio non è neutrale: significa, sostan­zialmente, che il punto di equilibrio del movi­mento, almeno fino a prova contraria, coincide con la leadership del capo-fondatore. «Bossi sei tuttinoi»,recitavaunimmensostriscionesulfon­do di piazza Duomo. E Maroni, proprio come usavano dire i vecchi dirigenti democristiani quando le correnti se le davano di santa ragione, ha chiosato: «Siamo un partito vivo e vivace. A me piace la Lega delle passioni, del tutti uniti».

Maroni non è né vecchio né democristiano, ma l’altro motivo per cui Bossi rimane saldamen­te alla guida della Lega è proprio lui. La forza poli­tica del Senatur non deriva infatti soltanto dalla suaritrovatacentralità(nonimportaseapparen­te o reale) nel gioco interno delle correnti e delle fazioni.Deriva anche dall’imbarazzo con cui l’ex ministro dell’Interno combatte la sua legittima battaglia.

Maroni è da sempre il delfino di Bossi: ma la storia insegna che molto difficilmente i delfini salgono al trono. C’è una ragione: il delfino si aspetta che il leader lo incoroni spontaneamen­te; il leader tende a rinviare ogni volta il passaggio delle consegne. Hanno ragione entrambi, ma questo surplace inesorabilmente logora il delfi­no e rafforza il potere del leader, rendendolo (o fa­cendolo apparire) insostituibile. Non solo: il del­finato fallisce anche per motivi più schiettamen­te politici.

Il delfino, proprio perché tale, ha con­diviso tutte le scelte del leader; per candidarsi a sostituirlo deve per forza differenziarsene, ma in questo modo rischia di apparire incoerente.

Naturalmente, le situazioni cambiano e dun­que devono cambiare anche le politiche che si propongono di affrontarle: caduto Berlusconi, è deltuttoragionevolecheilsuoalleatostoricos’in­terroghi sul da farsi. Diciamo la verità: oggi la Le­ga non ha una politica per il futuro. Naviga a vista, come del resto un po’ tutti i partiti. Ieri Bossi ha minacciato la crisi in Lombardia e ha intimato a Berlusconi di far cadere Monti, perché «non ci piace chi tiene il piede in due scarpe». Ma ha an­che aggiunto, quando sono saliti i fischi dalla piazza: «Calma, non vorrete che Berlusconi e il Pd si mettano d’accordo per fare una legge eletto­rale che ci faccia fuori?».

Né con Berlusconi, né senza Berlusconi: quan­to potrà durare? Ma se Bossi si barcamena, Maro­ni non è da meno. Neppure lui ha un’idea chiara del futuro della Lega e del sistema politico italia­no. E se ce l’ha, la tiene ben nascosta. Ma non si conquista una leadership soltanto con le scher­maglie congressuali o i bracci di ferro sulle poltro­ne che contano. Se Maroni vuole la Lega, deve spiegare ai leghisti (e agli italiani) che cosa inten­de farne. E combattere a viso aperto per ottener­lo.

Altrimenti il vecchio Bossi, con tutti i limiti e gli acciacchi e i pessimi consiglieri che si ritrova, continuerà ad essere quello che è sempre stato: il Capo.

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