«Fisco persecutorio, ora paghi i danni»

da Milano

Quindici anni di persecuzione del fisco possono cambiare la vita. In peggio. E se la persecuzione è ingiustificata è giusto che lo Stato paghi i danni. In questo caso il tribunale di Venezia ha deciso che c’è stato un «danno esistenziale»: in altri termini è stata rovinata la vita. Mica un grosso risarcimento: trentamila euro, da dividere tra due coniugi, significano mille euro all’anno di indennizzo a testa. Meglio che niente, e in ogni caso è una questione di principio: chi sbaglia paga, anche se è il fisco.
Soprattutto se ha trattato i cittadini come sudditi e non come utenti, con un comportamento «eccessivamente burocratico e irragionevole».
Ma vediamo che cosa è accaduto a Bruno L. e Gabriella B, due piccoli imprenditori veronesi. Il loro commercialista, anzichè versare il denaro al fisco per pagare ritenute d’acconto, Iva e imposte varie, se lo era intascato. Lo aveva fatto anche con altri suoi clienti, era stato denunciato e condannato per appropriazione indebita. Ma al fisco questo non basta: ha preteso che siano i contribuenti a risarcire il danno, o meglio, il mancato pagamento. Insomma, i signori Bruno e Gabriella si sono sentiti «cornuti e mazziati», presi in mezzo tra il commercialista e il fisco. E la cosa è andata avanti per quindici anni, tra ingiunzioni, richieste di pagamento e di interessi, sanzioni da parte del fisco, ricorsi e tentativi di giungere a un accordo da parte dei due contribuenti.
Tra l’altro, anche il fisco teneva un comportamento tutt’altro che chiaro, cambiando criteri interpretativi delle leggi a seconda delle cartelle esattoriali inviate. La battaglia è andata avanti per anni senza un vero vincitore: cartelle esattoriali da una parte, ricorsi dall’altra. Ma nessuna soluzione: implacabili gli uffici delle tasse non demordevano. A questo punto i due, disperati, hanno giocato la carta del contrattacco e hanno citato il ministero delle Finanze davanti a Tribunale civile di Venezia. E qui il legale dei due ha presentato una documentazione per dimostrare che c’era stato un danno psicologico dovuto alla persecuzione degli uffici del fisco, che aveva creato stress e tensione. Naturalmente il ministero si è difeso, sostenendo che il comportamento tenuto nei confronti dei due impreditori era legittimo e che non c’era stata nessuna persecuzione.
Il giudice, però, non è stato al gioco: la questione, ha affermato, non riguardava la «legittimità formale» degli uffici delle tasse, ma l’atteggiamento tenuto verso due persone vittime di un raggiro da parte del loro commercialista. Tra l’altro, non è chiaro se il commercialista abbia ricevuto le stesse sollecitazioni dal fisco perchè pagasse quanto avrebbe dovuto in nome e per conto dei suoi clienti. Ma per il magistrato il punto non è qui. Il punto è: i cittadini vanno rispettati. Sentenza che sembrerebbe banale, ma che con l’aria che tira in certi uffici pubblici è rivoluzionaria.

C’erano le condizioni «sostanziali e oggettive per offrire agli attori una soluzione, una qualunque, in qualche modo definitiva, che tenendo conto della loro collaborazione e attenzione, ponesse fine alle tribolazioni sofferte» si legge infatti nella sentenza.
Trentamila euro non sono molti, ma appunto, la questione è un’altra: il burocrate deve essere al servizio dei cittadini, e non viceversa.

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