Roma - Dietro all’inseparabile moglie Loredana che apre la porta, si erge consapevole di sé il professor Domenico Fisichella. Con ampio gesto circolare da signore dei luoghi invita il sottoscritto a entrare nel vasto salotto che il sole romano inonda esaltando argenti, tappeti, quadri. Il settantaduenne politologo assegna al cronista il divano sotto la finestra aperta, sceglie per sé un sofà al riparo dall’aria per via della cervicale sensibile, congiunge le mani e si impettisce.
«È sempre così sussiegoso?», chiedo, mentre la signora Loredana si allontana col succo di frutta che l’esimio marito e io, egualmente morigerati, rifiutiamo.
«Sono tra gli uomini più semplici e umili che ci siano in giro», dice l’ex vicepresidente del Senato di An, poi senatore della Margherita e oggi più nulla.
«Sembra un busto del Pincio», obietto.
«Io sono un professore universitario e ritengo che le istituzioni, Università o Senato che sia, si servano anche con un aplomb adeguato. Il garbo che mostro è per rispetto agli altri».
«Non esagera nel prendersi sul serio?».
«Dentro sono molto autoironico. Magari non mi va che lo facciano gli altri, ma io mi prendo in giro. Se poi mi chiede se ho di me una certa stima, è vero. Ma è per i libri che ho scritto e per quello che ho fatto», e indica compiaciuto la biblioteca.
«Parla da ombelico del mondo».
«Io ho profonda deferenza per i più bravi di me e ho stima per quelli bravi come me e anche per quelli meno bravi».
«Lei è la quintessenza della superbia».
«Non è superbia. Sono timido e ho paura di sbagliare», dice.
«Così, va meglio. In fondo, più che un trombone è un trombato. Dopo quattro legislature, non l’ha più voluta nessuno».
«Nulla ho chiesto. Matteoli di An mi aveva domandato se ero disponibile a ricandidarmi. Non l’ho più sentito e sono uscito dal Senato».
«Dispiaciuto?».
«Da 14 anni, mercoledì, giovedì e venerdì stavo infilato nel Senato e mi ero organizzato di conseguenza. Quando questo è venuto meno, ho avuto qualche giorno di sbandamento. Ora è passato».
«Per 12 anni è stato col centrodestra. Poi per due è passato col centrosinistra e negli ultimi mesi ha di nuovo ammiccato a destra. Ha il ballo di San Vito?», domando.
«Precisiamo i fatti. Quando nel 2005 decisi di lasciare An per protesta contro la devolution, mi iscrissi al gruppo misto. Sciolto il Parlamento, Rutelli mi invitò nella Margherita. Garantì massima libertà, disse che la Margherita sarebbe stata autonoma dai Ds e che il Pd era molto di là da venire. Io accettai».
«Poi ha di nuovo voltato la gabbana».
«Durante la legislatura 2006-2008 si sono presentati problemi e ho dovuto spesso fare di testa mia. Ho votato, per esempio, contro l’indulto. Poi, non mi è piaciuta la politica economica e sociale dell’Unione».
«E ha rifatto l’occhiolino a destra».
«Nessun occhiolino. Ho lasciato la Margherita e sono tornato al gruppo misto, chiarendo che avrei dato il mio voto solo alla Finanziaria per evitare l’esercizio provvisorio. E ho chiuso col centrosinistra».
«Lasciò An a causa della devolution, poi cancellata dal referendum. Però, lei sapeva che il federalismo era nel programma Cdl. Si è svegliato solo dopo avere avuto il seggio e la vicepresidenza del Senato. Un furbo di tre cotte!», dico.
«Quando, prima di candidarmi, manifestavo a Fini dissenso sul federalismo della Lega lui rispondeva: “Stai tranquillo, non passerà mai”. Non immaginavo che An, partito nazionale per eccellenza, potesse capitolare. Ma Fini ha la tendenza a muoversi su più piani».
«Il tipico anguillismo dei politici».
«Nel '96, volle a tutti i costi le elezioni anticipate cui Berlusconi era contrario. Lo avvertii: “Così, perdiamo”. Rispose: “Forse, ma l’importante è che perda Berlusconi”».
«Che briccone!».
«L’ultima volta che ho presieduto l’assemblea di An nel 2005, Fini disse: “Nel '96 abbiamo sbagliato a volere le elezioni anticipate”, al che lasciai i lavori. Mi chiese dopo perché l’avessi fatto. Risposi: “Hai detto abbiamo sbagliato. Dovevi dire ho sbagliato. Non hai il diritto di coinvolgermi”».
«Riassumendo. Si è fatto ingannare da Fini e da Rutelli. Se non è un pirla, è un ingenuo».
«Certo che sono ingenuo. Fini mi ha detto: “Ti si legge in viso quello che pensi” Non è però fessaggine, ma l’ingenuità di chi crede a cose fondamentali e rischia la delusione».
«Bossi e la Lega le stanno sulle scatole?».
«Sono agli antipodi. Io condivido i valori risorgimentali dell’unità nazionale: io sono siciliano, mia moglie trentina. Conosco, naturalmente, i difetti: poche infrastrutture, troppo burocratismo, eccessi fiscali. Ma non esigono il federalismo, né saranno risolti dal federalismo».
«Per Roma ha tifato Rutelli o Alemanno?».
«Ho cercato di comprendere l’uno e l’altro. Gli elettori hanno percepito che c’era del vecchio nella candidatura bis di Rutelli. In più, è stato costretto a smentirsi. Su scala nazionale era contro la sinistra radicale. A Roma si è alleato con lei e ha perso. Mi dispiace umanamente e politicamente», dice e dondola il piede. Sembra meno ingessato che all’inizio e pronto a entrare nel vivo.
Chi le è rimasta più nel cuore, An o la Margherita?
«Sono un uomo culturalmente di destra, questo lo sanno anche le pietre. Ho lavorato perché in Italia ci fosse una destra moderna. Nel '92, con due articoli sul Msi per il Tempo avevo anticipato An. Vedo che Fini & Co ritengono che il mio ruolo si sia esaurito con quei due articoli. Vuol dire che continuerò a lavorare in quella direzione da studioso».
Tra Pdl e Pd chi sceglie?
«Nel Pdl il ruolo della Lega è diventato preponderante. Questo è per me motivo di preoccupazione. Nel Pd pesano gli ex comunisti. Rispetto molti di loro, ma la nostra provenienza è diversa».
Conclusione?
«Sono distaccato tanto dal Pdl che dal Pd».
Che giudizio dà di Prodi?
«È stato percepito come un tipo aggressivo. Era invece un uomo solo».
E assai antipatico.
«In tv, un disastro. A parlargli invece, gli si può parlare».
La coppia Berlusconi-Tremonti farà meglio del trio Prodi-Padoa-Visco?
«Il problema non è solo ciò che si vuole fare, ma ciò che si può fare. Bisogna vedere quale Tremonti si manifesterà. Anni fa, parlava di “Stato criminogeno”, oggi invoca l’intervento dello Stato. È sconcertante».
Gli intellettuali sono ballerini.
«Il centrodestra dovrà guardarsi dall’alimentare la giostra dell’anarchia economica. Se prevarranno bengodi e facilismi, mi schiererò col Pd. Se invece per libertà si intende intraprendenza e senso di responsabilità, scelgo il centrodestra».
Visco ha messo in piazza i redditi, compreso il suo che non è malaccio.
«Iniziativa inopportuna. Il rischio, in una società che ha perduto il baricentro, è di scatenare invidie, gelosie e anche di peggio».
Che pensa del Cav?
«Come politico, questa è la sua vera prova di appello».
Appello? Era stato una frana?
«Parte cospicua delle sue promesse non si è realizzata. Se oggi il Paese è in cattive condizioni, per due anni ha governato il centrosinistra, ma per cinque il centrodestra».
E lei, facendo il salto della quaglia, ha appoggiato entrambi i governi che, a suo dire, hanno fatto male.
«Col centrodestra ero vicepresidente del Senato e non votavo quasi mai. Col centrosinistra ho spesso votato diversamente dai desiderata del governo».
Lei si assolve sempre. Mi dica che pensa del suo amico - o ex? - Fini?
«Come presidente della Camera ha un ruolo istituzionale e non può essere giudicato politicamente».
Lei sfugge alla domanda.
«Oppure è Fini che sfugge alle sue responsabilità».
In questi 14 anni di politica, chi le è rimasto grandemente impresso?
«Per personalità, con tutti i pregi e i difetti, Berlusconi. Poi, Ciampi per l’amore ai valori risorgimentali. Per lui ho deferenza e affetto».
Fior di conservatori, come Giovanni Sartori, suo maestro, lei stesso e tanti altri, vanno a braccetto con gli ex comunisti. Per converso, legioni di reduci del '68 scelgono il Cav. Il mondo alla rovescia?
«Nei sessantottini è prevalso il carrierismo. Quanto a noi, Sartori è borghese che più borghese non si può, anticomunista come nessuno, ma percepisce le transizioni. Anch’io. Ci sono valori che si sono trasferiti da destra a sinistra. Perciò, uomini liberi - liberi, questo è il punto - non possono più dare a se stessi un’etichetta precisa».
Cioè?
«Si può, di volta in volta, essere d’accordo con gli uni o con gli altri, senza per questo essere trasformisti».
Ha chiuso per sempre con la politica?
«No, perché non ho chiuso con la responsabilità che sento per gli altri».
Per ragioni d’età ha intanto chiuso con l’Università. È amaro?
«Mi dispiace non potere più insegnare. Mi dava gioia. È la mia parte narcisistica.
Che impronta pensa di avere lasciato in Senato, profonda o nessuna?
«Forse, il segno di una persona seria. Ma questa è una società senza memoria e non ho nessuna illusione».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.