Cultura e Spettacoli

In "Flags of Our Fathers" l'omaggio di Clint a uno dei più bei film sul reducismo

Nella pellicola diretta nel 2006 da Eastwood, un'intera scena è incentrata su un reduce senza braccia, molto simile a uno dei tre protagonisti de «I migliori anni della nostra vita». La pellicola del 1946 era interpretata da un vero soldato che aveva perso entrambi gli arti durante la Seconda Guerra Mondiale

In «Flags of Our Fathers», un uomo senza braccia, evidentemente perdute in guerra, racconta la battaglia di Iwo Jima al figlio di un altro reduce, ansioso di scoprire il ruolo del padre in quel grandioso evento bellico. E un uomo senza braccia è protagonista anche di «I migliori anni della nostra vita» (The Best Years of Our Lives). Casualità o il doveroso omaggio di Clint Eastwood a una delle più belle opere sul reducismo? Preferiamo optare per la prima ipotesi, visto che la pellicola del 1946, vent'anni fa è stato inserita fra i film preservati dal National Film Registry presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. E nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserita al trentasettesimo posto della classifica dei cento migliori film americani di tutti i tempi, posizione confermata dieci anni dopo nella lista aggiornata. Ma soprattutto Eastwood è autore troppo sottile per inserire a caso un simile particolare.
In «I migliori anni della nostra vita» William Wyler racconta il difficile rientro a casa di tre reduci Dana Andrews, Fredric March, e Harold Russell. Andrews, ufficiale, si ritrova a vendere gelati e si innamora della figlia di March. Che nella vita civile però ribalta i ruoli: sergente sotto le armi, riprende il suo ruolo di agiato e influente direttore di banca. Facile capire il serrato contro tra i due. Russel invece è un vero reduce di guerra, durante la quale ha effettivamente perso entrambe le braccia. Recitò solo in questo film, in maniera tanto efficace da vincere l'Oscar come miglior attore non protagonista nel 1947. Nel film dunque interpreta se stesso, la sue difficoltà nell'accettare la menomazione, il reinserimento nella vita civile ma soprattutto la fidanzata, che lo atteso e ora vuole sposarlo ugualmente nonostante i suoi tentativi di allontanarla.
Anche Eastwood passato dall'attore delle due espressioni (con il sigaro in bocca e senza) come lo bollò frettolosamente una certa critica di sinistra a monumento della cinematografia mondiale, sempre da parte della stessa critica di sinistra, si accosta al fenomeno del reducismo. E lo fa con una storia vera, quella dei tre soldati immortalati nella famosissima foto scattata da Joe Rosenthal mentre alzano la bandiera americana sul monte Suribachi, sull'isoletta di Iwo Jima, insieme ad altri tre commilitoni successivamente uccisi dai giapponesi. Diventati eroi, vengono subito richiamati dal campo di battaglia per girare l'America e sollecitare il prestito di guerra. In realtà non furono loro ad alzare la prima bandiera, ma altri soldati poi morti durante la battaglia. La bandiera fu subito dopo richiesta dal segretario alla Marina James Forrestal, per portarla a Washington come trofeo, e loro dovettero sostituirla con quella finita poi nella fotografia. L'episodio non avvenne a Iwo Jima conquistata, ma al quinto dei 35 giorni di scontri feroci, costati la vita a 18mila giapponesi e 7mila marine. Insomma una gigantesca montatura che segnerà i tre per tutta la vita. Tanto che uno di loro, l'infermiere della Marina John «Doc» Bradley la terrà segreta per tutta la vita. Solo alla sua morte il figlio James scopre qualche indizio e va alla ricerca delle verità intervistando i reduci dell'epica battaglia, tra questi appunto un soldato senza braccia.

Molto, troppo simile al personaggio interpretato da Harold Russell per essere «solo uncaso».

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