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La flessibilità? Uno scambio azienda-lavoratore

La flessibilità? Uno scambio azienda-lavoratore

di Si parla tanto di flexsecurity in termini di mutamenti radicali del costrutto giuslavoristico attuale, ma il vero problema è quello di adottare provvedimenti che, se da un lato propongono uno sviluppo del mercato del lavoro e della sicurezza occupazionale, dall’altro siano sostenibili a livello di costo per lo Stato.
A mio avviso la pietra angolare, che permetterebbe di sostenere un impianto in cui si contemperano le contrapposte esigenze anzidette e che potrebbe tranquillamente prescindere dalla modifica dell’articolo 18, è costituita dalla flessibilità di svolgimento della prestazione. In particolare per i contratti di lavoro già esistenti si potrebbe pensare all’apposizione di una clausola di flessicurezza che, entro precisi vincoli stabiliti dalla legge, consenta al datore di lavoro di mutare unilateralmente l’orario di lavoro, le mansioni, la retribuzione. A fronte di questa maggior flessibilità i datori di lavoro dovrebbero offrire maggiore stabilità al rapporto, ovverosia l’assunzione a tempo indeterminato.
La flessicurezza intesa nei termini di cui si è detto produrrebbe benefici incentivi alle assunzioni, notevole flessibilità nella gestione del personale ed una maggiore stabilità del rapporto. Inoltre, e l’aspetto non deve essere sottovalutato, avrebbe un impatto socialmente meno traumatico rispetto alle altre ipotesi di flessicurezza fino ad oggi formulate. La flessicurezza che oggi si propone non fa altro che evolvere i concetti già presenti nella riforma del 2003, sfruttando maggiormente le potenzialità del mercato del lavoro flessibile allo scopo di aiutare le imprese nella sfida del mercato globale. Più in dettaglio si propone l’introduzione, nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di una specifica clausola di flessibilità, attraverso la quale il lavoratore, al momento della stipula del contratto medesimo, riconosce al datore di lavoro la facoltà di poter modificare il corpo di regole che sovraintendono allo svolgimento della prestazione lavorativa, a fronte di specifiche esigenze organizzative, produttive, tecniche o sostitutive ed anche di mercato. In accordo a quanto detto, il datore di lavoro ha la facoltà di ridurre la prestazione lavorativa passando da full time a part-time (orizzontale, verticale o misto), ovvero di aumentare la richiesta di prestazioni lavorative nei limiti previsti dal decreto legislativo n.66/2003. Al datore di lavoro, poi, è consentito modificare le mansioni del lavoratore, anche prescindendo dal giudizio di equivalenza postulato dall’articolo 2103 del codice civile, per periodi di tempo determinati. La forma della clausola di flessicurezza dovrà necessariamente, come ovvio, essere quella scritta. Le garanzie finalizzate a limitare al minimo gli abusi da parte del datore di lavoro consisteranno nell’identificazione scritta delle motivazioni che inducono all’apposizione ed il presumibile periodo temporale di durata della flessibilità, nonché nell’obbligo che l’apposizione, nell’ipotesi di modifica peggiorativa delle mansioni del lavoratore avvenga in sede sindacale, a pena di nullità. Infine dovrà essere presente il divieto di modificare il contratto per determinate categorie di lavoratori.
A fronte delle predette modifiche contrattuali, la retribuzione sarà riproporzionata rispetto alla quantità di lavoro effettivamente espletato, sempre nel rispetto della retribuzione necessaria e sufficiente di cui all’articolo 36 della Costituzione, e, per il periodo di flessicurezza, sarà applicata una decontribuzione di 3 punti percentuali degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro, senza che ciò comporti una corrispondente diminuzione dell’importo pensionistico del lavoratore.

Da ultimo, saranno possibili ulteriori agevolazioni per i lavoratori con anzianità anagrafica superiore a 40 anni, mediante la concessione di bonus fiscali.
*Giuslavorista

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