Il Fli nasce in crisi d’identità Malumori su Bocchino capo

Rho (Milano)Creatura fragile e anemica quella che sta vedendo la luce nella tre giorni di Rho. Fini partorisce un partitino che avrebbe bisogno di mesi di incubatrice per somigliare alla creatura sognata dal suo genitore. Il padiglione 18 della Fiera di Rho, alle porte di Milano, è una gigantesca pancia, ieri rimasta semivuota. Poco entusiasmo, poco pathos, poco sentimento. Non sono bastate le solite note di Morricone a regalare un po’ di pelle d’oca a delegati e militanti. Pessimismo e smarrimento i sentimenti comuni della base futurista. In sala sono tante le sedie desolatamente vuote e non si respira l’aria d’attesa che si respirava in quel di Mirabello. Allora il presidente della Camera tornò a comiziare dopo mesi di bofonchiate dal piano nobile di Montecitorio e scaldò la piazza lamentando l’espulsione dal Pdl e lanciando speranze e sogni. Qui a Rho, nulla di ciò. Non c’è neppure il clima sovraeccitato ed elettrico di Bastia Umbra, quando Gianfranco arrivò a chiedere le dimissioni del premier in un tripudio di boati e bandiere tricolori. Niente. Alle porte di Milano il Fli nasce frastornato come un pugile finito al tappeto. Il cazzotto più devastante resta la spallata andata a vuoto lo scorso 14 dicembre con il flop della mozione di sfiducia al governo dell’odiato Berlusconi. Si doveva abbattere definitivamente il Cavaliere e invece con le chiappe a terra c’è finito Fini. Lo si ammette a mezza bocca pure qui, durante il parto di Futuro e libertà. Dopo quella batosta Fini s’è infilato nel cul de sac del Terzo polo e non riesce più a scaldare i cuori dei suoi supporters. Nel mentre sono arrivati i mal di pancia per il pericoloso occhieggio alle procure, per lo scivolamento a sinistra, per la troppa tattica e la poca strategia, per la subalternità a Casini e il conseguente fuoco amico degli intellettuali di riferimento, Campi e Ventura.
Così, il neonato Fli vede la luce senza che ne siano ancora chiari i connotati. Ecco perché la parola d’ordine sembra essere quella di dire «destra». Persino uno come Granata vaga per il padiglione con la camicia nera e scherza: «Ma quale annacquamento nel Terzo polo? Se persino io mi vesto da fascista. Fascista di sinistra, certo. Ma fascista». Battute, ovvio. Di fatto il refrain resta quello di riconnotare a destra il Fli. Con estrema soddisfazione di Daniela Di Sotto, ex moglie di Fini, che si aggira per lo stand sotto braccio a Donato Lamorte. «Siamo alternativi alla sinistra», dice Urso. «Siamo destra repubblicana e legalitaria», ribatte Granata. «Fini sarà leader di una lista civica nazionale alternativa alla sinistra per dare un punto di riferimento nuovo alla destra italiana», giura Ronchi. «Il Fli nasce per battere la sinistra. Questo è il nostro obiettivo», sentenzia Bocchino, futuro coordinatore pro-tempore del partito (anticipazione che ha indispettito non pochi colonnelli del Fli).
Già, la destra. Tutti più o meno lo stesso messaggio. Forse accortisi che l’antiberlusconismo più feroce li ha resi strabici, i futuristi tirano il freno a mano sul Terzo polo e trasudano voglia di centrodestra, col terrore di essere scivolati troppo verso Vendola e Di Pietro. Di abbandonare l’odio nei confronti di Berlusconi, però, non se ne parla. Nel documento programmatico consegnato ai congressisti non mancano stoccate all’ex alleato, reo di «non aver fatto le riforme perché alimenta gli umori, insegue gli interessi invece di governare». E ancora: «Si è lasciato andare a una deriva populista che non cerca soluzioni ma capri espiatori per facili consensi». Poi le solite graffiate al Carroccio, «autentico motore della coalizione di governo».
Sulle alleanze future c’è mutismo ma lo spettro della Santa alleanza - da Fini a Vendola - s’aggira per il sonnacchioso padiglione. Tra uno sbadiglio e l’altro fila via il primo giorno di lavori senza un briciolo di pepe.

Neppure le poche parole di saluto pronunciate da Fini, che comizierà domani, riescono ad accendere la platea: «Getteremo un seme perché la primavera italiana possa diventare una bella realtà», dice. Tiepidi clap clap. Poi tutti a mangiare la porchetta e il pane di Altamura preparati dal cuoco di D’Alema, Vissani.

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