di Claudio Eva*
Caro Dott. Lussana, le scrivo per apportare alcune doverose correzioni all'articolo a firma di Matteo Agnoletto comparso su il Giornale del 11 /2 /2011, titolato «Giardini per le vittime delle foibe». Sottolineo che alla manifestazione ero presente in qualità di Presidente del Comitato provinciale dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, associazione assolutamente apolitica, e quindi non nelle vesti di responsabile regionale PdL della Protezione Civile. Inoltre un significativo errore esiste in quanto riportato nel virgolettato a me attribuito: «Da quel momento gli italiani insediatisi in quei territori furono messi davanti ad un bivio:disconoscere le proprie origini e diventare slavi oppure rientrare in Italia». Ricordo che gli italiani non si erano insediati ma rappresentavano una comunità autoctona valutabile in circa 60% della popolazione residente, mentre la componente slava era, secondo il censimento del 1920, al 36%. Come la storia insegna, le genti italiane occupavano quei territori da centinaia di anni pur in una realtà che vide, specie con l'impero austro-ungarico,un massiccio apporto di gruppi etnici slavi. Quindi, dopo il trattato di pace del 1947, gli italiani residenti dovettero optare se essere e rimanere italiani o divenire sudditi della Yugoslavia. Sottolineo che fu assolutamente negata la possibilità di una scelta referendaria ma fu concessa solo un'opzione che fu subordinata alla concessione dell'espatrio da parte delle autorità slave. 350.000 italiani, circa 80% dei residenti in Istria, Fiume e Dalmazia scelsero tra grandi difficoltà di voler essere italiani. Prendendo la via dell'esilio. Come emerso dal discorso dell'Assessore alla Cultura del Comune di Genova Sig. Ranieri, ancora oggi, la sinistra italiana cerca di scusare gli eccidi perpetrati dai partigiani slavi contro la popolazione italiana, che assunsero le caratteristiche di una pulizia etnica, come una rivalsa contro il fascismo che, secondo loro, perpetrò vere persecuzioni della minoranza slava in quei territori. Quanti furono gli infoibati e quanti furono passati per le armi in quel periodo storico da parte dei «titini»? Le stime sono ancor oggi oggetto di contrasto tra gli storici sloveni e le valutazioni fatte dalla nostra associazione: 2000-2500 da parte della cultura filo slovena che trova eco nella cultura di sinistra, contro i 7000 infoibati e alcune migliaia di trucidati. Tra questi donne, bambini, uomini di varia estrazione sociale, 348 carabinieri e 256 finanzieri. Al di là della conta degli infoibati e delle cause che produssero quegli eccidi - cosa questa che sembra essere primaria per la sinistra italiana e per gli sloveni - rimane il fatto che 350.000 persone abbandonarono la loro terra, le loro proprietà e gli affetti più cari per rifugiarsi in un'Italia sconfitta e povera, per poter sopravvivere come uomini liberi e come italiani.
*Presidente Prov. Associazione
Venezia Giulia e Dalmazia
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