Roma - Vivi per pura coincidenza ma esuli, persone che hanno dovuto lasciare tutto ciò che possedevano portando con sè solo ciò che di più caro avevano: la vita e gli affetti. Sfiorarono la morte, che invece giù nelle foibe inghiottì parenti o amici, ma dovettero lasciare tutto. Le storie degli esuli giuliano-dalmati, riuniti oggi in Campidoglio in aula Giulio Cesare, hanno tutte il sapore amaro della persecuzione subita, di una persecuzione che a molti non ha lasciato scampo.
La memoria storica degli italiani Mirella Ostrini ora ha 73 anni ma quando con la sua famiglia ha dovuto lasciare Zara ne aveva solo sei. "Mi sono salvata perché siamo partiti prima del giorno stabilito, su un piroscafo che, per fortuna è stato uno dei pochi a non essere affondato", ricorda. Il suo racconto parla di vari spostamenti," prima ad Ancona, poi a Roma nel quartiere giuliano-dalmata sulla Laurentina. Nessuno della mia famiglia è stato infoibato ma ci siamo salvati solo perchè non ci siamo recati nel solito rifugio". Aveva solo tre anni Dionisia Pellizzer quando lasciò Rovigno d’Istria con la sua famiglia, "sono stata sei mesi in un campo profughi dove c’erano stati gli ebrei". Sua cugina Eufemia Giuliana Budicin, invece, è nata a Roma ma i suoi genitori dovettero lasciare tutto "una situazione economica agiata, per diventare profughi ed essere appellati come fascisti benchè mio padre avesse combattuto tra i partigiani". È stato un 'no' da parte del papà a salvare, invece, Vanda Piccoli, quando, all’età di sette anni, chiese di partecipare a un festeggiamento in strada.
"Era estate - ha ricordato - ci andavano tutti i miei amici. Ma presto quella festa si trasformò in una tragedia: vennero fatti saltare alcuni ordigni innescati da micce. C’erano resti umani ovunque. Poi siamo partiti con una motonave e ci siamo salvati la vita".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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