da Valencia
Sulla maglietta nera hanno scritto «Let's bring it home», portiamola a casa. Il popolo bevitore ma ordinato dei tifosi di Emirates Team New Zealand bivacca sotto il grande schermo appena dietro la base degli all blacks della vela. Un pittoresco abbigliamento fatto di bandiere, tatuaggi maori, pupazzi kiwi, magliette nere, magliette antiche comprate in occasione di vecchie vittorie di New Zealand. Famiglie intere con i bambini perennemente scalzi e sempre pronti a simulare la regata con qualsiasi cosa tonda somiglia a un timone. Chi non esce in mare, e in questi giorni il traffico è insostenibile, passa il pomeriggio sotto il grande schermo, dove ogni virata è un'emozione. I neozelandesi dicono che «l'Europa è molto più vicina alla Nuova Zelanda di quanto la Nuova Zelanda lo sia all'Europa» gioco di parole per dire che sono loro i viaggiatori abituali. C'è un tipo che per seguire la squadra di rugby ha visitato cinquantacinque diversi Paesi, e passa circa sette mesi l'anno in giro per il mondo. Così, anche la Coppa America è una bella scusa per volare ventotto ore e arrivare nel vecchio mondo, sempre immaginato, letto sui libri, anche studiato. Dopo qualche interrogazione si capisce che quelli che arrivano o sono perenti vicini e lontani di quelli del team o sono i più ricchi del paese australe. Non sono poi tanti in giro per la terza città della Spagna, ma sono un bel supporto per Dean Barker e compagni, che sentono comunque aria di casa. Ma sono riusciti a colorare all'improvviso tutto il canale di uscita con le bandiere. Quando li incontrano, e ce n'è sempre qualcuno davanti alla base, sono pazienti e gentili. Firmano, accettano le fotografie, abbracciano. E' il kiwi mood, quel modo di essere forti ma gentili, che alla fine della regata di ieri ha fatto in modo che alcuni dei più pittoreschi neozelandesi si lanciasse in complimenti sperticati ai pochi svizzeri presenti, campanaccio compreso. «Nice regatta», bella regata anche se abbiamo perso.
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