La follia della vita virtuale: il figlio muore, la madre chatta

Angeli custodi dei bimbi innocenti, occhio alle mamme appassionate di Web Community, tipo Facebook, o Twitter. Shellie Ross, mamma blogger con 5000 seguaci, ha mandato tra le 8.37 e le 17.22 ben 74 messaggi su Twitter, parlando di tutto. Un minuto dopo, alle 17.23 il figlio undicenne, Ross, si affretta a chiamare il numero d’emergenza per avvertire che il fratellino Bryson giace riverso nella piscina di casa, privo di coscienza. La blogger non si lascia sfuggire la notizia, e subito «posta» lo scoop: «Per favore, pregate come non avete mai fatto, perché il mio bambino è caduto nella piscina». Più tardi, quando il bimbo viene dichiarato morto, Shellie mette sul web la foto di Bryson, e commenta: «Ricordando il mio bambino da un milione di dollari».
Nell'ultimo messaggio, un minuto prima che il primogenito chiamasse i soccorsi, la Ross, raccontando su Twitter che stava pulendo delle gabbie per uccellini, aveva reso noto ai suoi amici della rete che la «nebbia si era infittita» e che «gli uccellini, spaventati, erano rientrati nelle loro casette». Chissà se erano solo gli uccellini ad essere spaventati, e non anche i suoi bambini, e se la nebbia era davvero attorno a lei, o dentro la sua testa. La polizia ha comunque tagliato corto. «Il fatto che lei stesse su Twitter non ha nulla a che fare con la morte del figlio», ha concluso la squadra omicidi dell’ufficio dello Sceriffo della Contea di Brevard. «È stato un incidente, punto e basta». Dunque è un incidente, ok, non facciamo come quei PM italiani che invece di fare inchieste giudiziarie, trovando prove, armi e moventi, rinviano a giudizio perché l'anima o lo sguardo del sospettato lasciano a desiderare. Comunque non c’è dubbio che informare in diretta i tuoi 5 mila seguaci di blog di ciò che fai o che passa per la tua testolina non è il modo più sicuro per accudire il tuo bambino di due anni che gironzola per la piscina. La scrittrice Madison McGraw, anche lei blogger, ha commentato: «Se avesse interagito col figlio con la stessa frequenza con cui scrive su Twitter, il piccolo sarebbe ancora vivo». La mamma, offesa, ma anche preoccupata per l’impennata dei contatti sui blog concorrenti, che la criticavano, ha notato che «queste persone cercano solo di fare pubblicità ai propri blog».
La storia trasuda e illustra la «banalità del male», che scivola inavvertitamente nella vita quotidiana di donne e uomini. Sheila ha quattro figli, e un marito sergente, che forse rimane troppo nella base (vicina a Cape Canaveral), però le consente anche di essere la @Military_Mom, la mamma soldato della blogosfera americana, un modo come un altro per cercare di comunicare e vincere la noia. I contatti del blog però (a differenza delle vicine di una volta che non erano sempre a tua disposizione, e poi ti ascoltavano, ma un occhio al bambino magari lo buttavano anche loro), sembra che siano sempre lì a pendere dalle tue labbra, ma in realtà sono lontani, distratti, e mentre tu posti le info sugli uccellini ai bambini succede di tutto.

Nel frattempo il blogger, come un attore uscito di senno o uno scrittore mitomane, vive per questo pubblico reale ed immaginario, fedele e lunatico, entusiasta e crudele come il pubblico degli spettacoli dei gladiatori. Un momento fa il tifo per te, e quello dopo ti dà in pasto ai leoni. Certo, la dipendenza da web la noia a volte l’ammazza davvero. Non solo quella, però (come molti altri episodi dimostrano).

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