Fondazione Mps, le banche rivedono le maglie del prestito

Questa mattina, prima dell’apertura di Piazza Affari, Mediobanca e Credit Suisse dovrebbero avere individuato il modo per liberare la Fondazione Mps dai «lacci» del prestito da 600 milioni acceso la scorsa primavera per sottoscrivere l’aumento del Monte Paschi. L’Ente presieduto da Gabriello Mancini si era prefisso di non allentare la presa sulla banca, ma la caduta del titolo Mps in Borsa (23 centesimi la chiusura di venerdì) ha fatto «saltare» le garanzie previste dal contratto, mettendo quindi a rischio lo stesso controllo dell’istituto di cui Siena detiene il 48%.
Riunitesi nella mattinata di ieri, le undici banche creditrici hanno quindi lavorato sui debiti di Palazzo Sansedoni con il direttore generale Claudio Pieri. Un confronto molto serrato, ma volto a concedere alla Fondazione Mps più agio possibile per le cessioni in agenda. Siena dovrebbe completare l’uscita da Mediobanca (la quota iniziale dell’1,9% è già stata molto ridotta la scorsa settimana) così come potrebbero finire sul mercato asset come la partecipazione nella Sator di Matteo Arpe, Fontanafredda o il 31% di Immobiliare Sansedoni, per cui Mancini è da tempo alla ricerca di un compratore.
Il Monte dei Paschi, come altri istituti italiani, deve però fare i conti anche con l’incognita dell’Eba, l’Authority bancaria europea: se l’istituto di Giuseppe Mussari sarà costretto a una nuova ricapitalizzazone, Mancini dovrà giocoforza accettare di diluirsi. Magari lasciando spazio agli altri soci storici dell’istituto: l’alleata francese Axa e Francesco Gaetano Caltagione.
In attesa di capire quale sarà l’impronta che Enrico Cucchiani darà all’Intesa Sanpaolo post Corrado Passera, l’attenzione del mercato è poi puntata sull’altra superbanca italiana: Unicredit. L’amministratore delegato Federico Ghizzoni, oltre a curarsi dei maldipancia manifestati dalla Fondazioni Crt, deve infatti predisporre il terreno con i grandi azionisti per l’aumento di capitale da poco varato: CariVerona di Paolo Biasi non ha ancora sciolto la riserva.
Il gruppo è inoltre impegnato in un duro braccio di ferro con i sindacati sui 3.500 esuberi aggiuntivi previsti dal nuovo piano industriale. Piazza Cordusio avrebbe inoltre in progetto di chiudere 150 sportelli su tutto il territorio nazionale e di dare maggiore impulso alle cosiddette filiali «leggere».
La Fabi e i sindacati «confederali del credito» (Fiba, Fisac e Uilca), stanno tuttavia alzando i toni dello scontro ,coinvolgendo nell’agone anche alcuni esponenti politici.

Obiettivo della lotta: ridurre i tagli e ottenere in cambio l’assunzione di 1.500 giovani. Cui si aggiunge l’idea di strappare il part-time allargato e più attenzione al Sud, soprattutto nelle aree di insediamento storico dell’ex Banco di Sicilia.

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