«Fondi: nessun allarme, ma c’è da riflettere»

«Nessun rischio di colonizzazione I riscatti ci sono, ma il patrimonio è oltre i 650 miliardi»

da Milano

Domattina Guido Cammarano si alzerà presto, per recarsi all’assemblea di Assogestioni, la sua ultima da presidente. Dopo 20 anni, passati a guidare l’associazione delle società di gestione dei fondi comuni, prima da segretario generale, poi da presidente, il suo mandato scade e non è rinnovabile. I 170 associati provvederanno a eleggere il suo successore, Marcello Messori, scelto da tempo. Ma Cammarano non uscirà di scena: l’assemblea è pronta ad acclamarlo presidente onorario. In ogni caso l’eredità che lascia a Messori è importante: quella di un’industria passata da zero a 650 miliardi di euro di patrimonio. Ma che vive un momento molto difficile: nel 2006 ha perso quasi un miliardo al mese, per effetto di riscatti superiori alle nuove sottoscrizioni. In un trend che non sembra avere fine.
Professore, cosa succede all’industria dei fondi comuni, proprio ora che lei deve lasciare?
«Non mi sembra niente di grave: c’è un patrimonio ormai consolidato di 650 miliardi che, calcolando l’intera massa dei patrimoni gestiti, diventa di 1.110 miliardi. Stiamo vivendo un momento di passaggio, ma non credo a un forma di disaffezione. Diciamo che non c’è da preoccuparsi, anche se c’è da riflettere».
I fondi esteri o estero-vestiti sono quelli che vanno meglio, perché beneficiano di un diverso trattamento fiscale. È solo questo il problema?
«Questo è uno dei problemi che Assogestioni ha già affrontato, chiedendo al viceministro Visco di uniformare la tassazione applicando a tutti i fondi la tassazione sul "realizzato" (cioè sull’utile al momento dell vendita della quota, ndr) anziché sul "maturato" (tassazione giorno per giorno, ndr). E Visco condivide la nostra richiesta. Ma non vorrei che ci fosse lo zampino di qualcuno che non ha interesse a questa innovazione».
Vale a dire?
«Penso al successo di strumenti alternativi ai fondi, a cui sono già applicate tassazioni diverse e che dunque sono già in vantaggio».
Si riferisce a certificati, obbligazioni strutturate e polizze unit linked emessi e venduti da banche e assicurazioni? È dunque loro la responsabilità del deflusso dai fondi?
«Di certo sono le catene di distribuzione di questi soggetti a spingere sui nuovi prodotti. Questo è senz’altro il loro orientamento. Anche perché questi sono prodotti cosiddetti front fee, le cui commissioni vengono incassate subito e non spalmate negli anni. Per cui sono molto appetibili per il loro conto economico».
Esiste su questi prodotti un problema trasparenza?
«Esiste, ma è un problema culturale del nostro Paese. La responsabilità non è solo delle banche e delle assicurazioni ma dell’intero sistema, compresi i media».
D’accordo, ma se i grandi intermediari decidono di puntare su altri prodotti, non c’è il rischio che l’industria dei fondi venga colonizzata?
«Non vedo elementi per parlare addirittura di colonizzazione».
In vista dell’assemblea che nominerà Messori, qual è la sua eredità più importante per il prossimo presidente?
«Lascio una realtà associativa con un nome, una reputazione, e che rappresenta un punto di riferimento per l’assistenza che è in grado di fornire al funzionamento di ogni aspetto del mercato finanziario».
Qualcuno dice che i fondi sono però asfissiati, da norme e regolamenti eccessivi, da Bankitalia e Consob. Condivide?
«So che esiste questa critica nei confronti di Assogestioni. Io dico che tutto si può migliorare e che in proposito l’avvento della direttiva Mifid sarà una grande occasione».


La vivrà da presidente onorario?
«Non lo so, e non ho alcuna pretesa. Ma le dirò: sarebbe un’onorificenza anche giusta per tutto quello che ho fatto, per aver creato un’alternativa solida al pane e acqua di deposito bancario e obbligazioni».

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