Il vantaggio di Formigoni se l’aspettavano tutti. Quel distacco no, e politicamente fa la differenza. Così il sondaggio Demoskopea pubblicato ieri dal Giornale dà un colpo d’acceleratore alla corsa verso il Pirellone. Aumenta il panico in un centrosinistra già abbastanza inguaiato fra candidati fantasma e alleanze in alto mare. E dall’altra parte della barricata scava un solco ancor più profondo fra il nocciolo duro dell’alleanza, formato dal Pdl e Lega, e un’Udc che sembra avviarsi a una corsa solitaria e di bandiera.
Fra i dirigenti del Pd continua la «grande fuga» dalla candidatura. Non è una sorpresa che il presidente della Regione (poco) uscente e con la ricandidatura in tasca batta nel testa a testa i possibili avversari. Come non meraviglia - dopo tre mandati - il suo alto tasso di popolarità. Pessima sorpresa per i democratici il fatto che i più prestigiosi fra i suoi possibili candidati (Savino Pezzotta e Pietro Ichino) siano praticamente sconosciuti alla gran parte degli elettori. E ancor più preoccupante è che Formigoni riscuota il doppio dei consensi di Filippo Penati reduce da una campagna elettorale per le Provinciali che è stata costosa, personalizzata e tutto sommato fortunata. Sarà una coincidenza, dunque, ma dal suo entourage fanno sapere che l’ex presidente della Provincia è totalmente assorbito dal congresso del Pd, e che non si sta occupando affatto della Lombardia, impegnato com’è a coordinare la mozione di Pierluigi Bersani.
Alberto Mattioli, cattolico (mozione Franceschini) ex vicepresidente della Provincia per il Pd, lo ammette senza problemi: «Formigoni è una personalità nazionale oltre che lombarda, inoltre Pdl e Lega sono radicate qui in termini di potere e consenso», ma «la battaglia non è persa in partenza». «Dipenderà anche dal candidato», osserva, tracciando l’identikit di un uomo «capace di attrarre consensi in un’area moderata e centrista», e nel mondo cattolico. E qui c’è uno dei nodi da sciogliere, perché nel Pd, se non altro per limitare i danni, si spera ancora in un accordo che comprenda l’Udc.
I centristi invece un’alleanza a sinistra la escludono a priori: «Non la vedo affatto», conferma il segretario regionale Luigi Baruffi, che semmai continua ad appellarsi a Formigoni: «Veniamo da 15 anni di buon lavoro, la rilevazione lo conferma, se Roberto si ripresenta noi siamo pronti a sostenerlo, ma ci sono dei nodi politici da sciogliere». Le richieste di Baruffi sono chiare: «Pari dignità nell’alleanza, e chiarezza sulle priorità». Tutto dipende dal rapporto con la Lega: «Noi non poniamo veti ma non siamo disposti a subirli - avverte Baruffi - se si continua così senza un chiarimento andiamo verso una candidatura autonoma». Una prospettiva che non dispiace affatto alla Lega: «Meglio così - commenta il capodelegazione del Carroccio in Regione, Davide Boni - noi non abbiamo bisogno di alleanze, la frammentazione non serve. È stato utile tenere l’Udc nella maggioranza finora, ma cosa nuova capo ha. Loro chiedono pari dignità ma non hanno i voti per farlo». Divorzio in vista, dunque? Nel Pdl si frena: la posta in gioco è alta, e la partita non è solo lombarda: «Numericamente l’Udc può sembrare superflua - osserva il capogruppo regionale Paolo Valentini - ma politicamente potrebbe non esserlo. La questione sarà decisa sui tavoli nazionali, insieme a quelle 4-5 regioni in cui le alleanze sono decisive». Resta aperto un margine, dunque.
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