Dentro o fuori. «L’Udc deve decidere il suo destino, scelga da che parte stare». Il governatore Roberto Formigoni inizia a dare segni di insofferenza: quell’uno per cento sbandierato dal partito di Casini come l’ipotesi - risicatissima - rimasta per correre col Pdl e per il presidente in carica alle prossime regionali gli sta stretta. «Siamo ancora alle schermaglie iniziali e nulla è ancora deciso, le schermaglie servono ad occupare i giorni prima delle decisioni», ha affermato ieri Formigoni. Ma certo il balletto dell’Udc il giorno prima è uno spettacolo che non ha gradito. A Milano nel pomeriggio il segretario regionale del partito Luigi Baruffi ha escluso «qualsiasi alleanza con il Pd», ma lasciato la porta aperta al Pdl «se il candidato è Formigoni». Da Roma, ha tirato il freno a mano il segretario Udc Lorenzo Cesa: «Al 99% in Lombardia andremo da soli, ogni altra ipotesi mi sembra molto, molto improbabile». E Baruffi in serata è stato costretto a correggere il tiro: «Non abbiamo paura della corsa solitaria». A questo punto il messaggio di Formigoni è chiaro: dentro o fuori.
Le scelte nazionali, valuta il coordinatore vicario del Pdl Massimo Corsaro, «difficilmente ci metteranno in condizione di aprire le porte all’Udc, e in una regione in cui possiamo farne a meno». La corsa solitaria dei centristi «è una scelta da rispettare» ma «difficilmente impedirà di assicurare la vittoria a Formigoni». Il presidente della Provincia e coordinatore regionale del Pdl Guido Podestà invita «gli amici dell’Udc» a valutare con attenzione la scelta: «La coalizione strategica è Pdl e Lega, su questa alleanza si è basato per 15 anni il buon governo di Formigoni in Lombardia», senza l’Udc «andiamo avanti lo stesso, sicuri di avere un grande consenso. Ma secondo noi stanno sbagliando e dovrebbero ancora condividere un’esperienza che da Palazzo Marino al Pirellone è stata largamente positiva in questi anni».
I big del Carroccio riuniti ieri al quartier generale di via Bellerio intanto non avrebbero alzato pretese sulla Lombardia, il ministro Luca Zaia conferma che «Bossi non ha mai fatto mistero di volere Veneto e Piemonte e immagino che porterà avanti le trattative in questo senso».
L’opposizione invece brancola nel buio, e dal cappello dei candidati papabili è spuntato nelle scorse settimane anche il nome del leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro. Che ieri, però, ha frenato: «Prima di andare alla guerra bisogna costruire la squadra, non mandare il giapponese a difendere l’isola». Una candidatura «mia, di Bersani o di altre persone che ci vogliono mettere la faccia per costruire un’alternativa - ha precisato - dipende se tutti quanti ci voglio stare. A me nessuno di altri partiti ha detto che vuole sostenermi, per cui la mia candidatura è del tutto improponibile».
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