Il numero uno del gruppo Renault non ha detto «macchè ritirarsi, sono tutte sciocchezze, non ci pensiamo proprio». Carlos Ghosn, allindomani delladdio Toyota al patinato mondo della formula uno, ha detto: «Vi faremo sapere la nostra posizione entro la fine dellanno».
Purtroppo significa che la Régie è ancora in bilico, che il board continua a sfogliare la margherita del lascio o non lascio il Circus e che in F1 permane uno stato di casino costante. Perché giusto a fine 2008 era stata la Honda a fare ciao ciao e sgommare via lontano dalla Fia di Max Mosley e da Bernie Ecclestone. Pochi giorni fa la Bridgestone, consapevole di non poter lasciare tutti quanti senza gomme allultimo momento, ha annunciato che lo farà al termine della prossima stagione. Quindi è stata la volta della Toyota, in una commistione di palpabile giramento di scatole del gran capo e nipote del fondatore, Akio Toyoda, perché costretto alla resa, e di orientale sconforto di Tadashi Yamashina, responsabile del settore Motosport, scoppiato a piangere per aver fallito in F1. E che dire della Bmw, che a fine estate aveva comunicato serena: «La F1 non rientra più nei nostri progetti». Il motivo? Costa troppo e il futuro è lecologico, mica girare come dei matti su circuiti fotocopia. Paradossale la vicenda sportiva di uno dei pochi talenti del mondo che corre: Robert Kubica. Appiedato dalla Bmw, è stato assunto per il prossimo anno dalla Renault. La Renault che ci farà sapere entro fine anno se resterà in F1. Non male davvero.
Daltra parte, il settore automobilistico è uno di quelli che ha maggiormente risentito della crisi e vien da sé che nei consigli damministrazione la prima voce da buttare nel cestino o ridimensionare sia sempre e ovviamente quella degli investimenti in F1. Anche perché i milioni necessari (vedere la tabella in pagina) sono davvero molti. I dati riportati riguardano il 2008 e, benché questanno i budget siano stati ridotti fra il 30 e il 40% a seconda della struttura di ciascun team, restano comunque troppo alti.
Non deve stupire, quindi, se il mondo patinato che corre, benché un filo azzoppato, si sta spostando sempre più verso quei Paesi dove grossi problemi di soldi e, soprattutto, di occupazione non ci sono (nel senso che nessuno deve spiegare ai dipendenti perché investa nelle corse e non in altro). Bernie Ecclestone lha compreso subito, aprendo nel 2004 la F1 al mondo arabo con il Gran premio del Bahrein, ovvero «La casa degli sport motoristici nel Medio oriente» fu lo slogan della corsa. Mancava la pista e lincarico venne dato al suo architetto di fiducia, Hermann Tilke. Detto e fatto. Ovviamente con i soldi della famiglia reale del Bahrein. Ed ecco perché la suddetta famiglia ha da tempo rilevato una quota billionaria della McLaren, valutabile attorno al 30 per cento. Parecchio, se si pensa che laltro grande azionista della scuderia è la Mercedes con il 40. E del recente Gp di Abu Dhabi che cosa dire? Non a caso Ecclestone e la Fia lavevano inserito come ultima corsa dellanno. Da diverse stagioni, il mondiale si era infatti sempre concluso al fotofinish. Per cui, che cosa di meglio se non onorare gli Emirati, assegnandogli lultima parata in mondovisione? Peccato che la Brawn Gp furbetta ed eccessivamente aiutata dallex presidente Fia Mosley, abbia scombinato un tantino i piani vincendo con una corsa danticipo.
Sul mondo arabo ha visto bene e con anticipo soprattutto la Ferrari. Basti pensare alla sponsorizzazione Etihad, la compagnia degli Emirati arabi; o a Mubadala (il fondo legato al governo di Abu Dhabi) che dal 2007 campeggia su vettura e cappellini. Mubadala che, fra laltro, possiede il 5 per cento delle azioni Ferrari. Si pensi poi al parco tematico - una Disneyland della Rossa costruito accanto al circuito senza che Maranello dovesse tirar fuori un soldo.
Questi sono i tempi, questa è la nuova formula uno... meglio dire Formula Arabia.
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