«Forse a Testori non sarei piaciuta»

Chi ammira Laura Marinoni sul palcoscenico nelle vesti impudiche e tenerissime di Suor Felicitas, la religiosa vittima di una colpevole passione per una bambina affidata alle sue cure, rimane sorpreso dalla veemenza dei suoi gesti, dal suo straordinario afflato drammatico, dall'autorità vocale di quei toni strazianti e dolcissimi che modula sapientemente come una gran virtuosa del Bel Canto. Peccato che Giovanni Testori, le dico, l'autore di "Passio Letitiae et Felicitatis" il romanzo da cui è stato tratto questo memorabile passo a due, non sia più tra noi. Non c'è dubbio che avrebbe subito varato per lei e su di lei una nuova trilogia, magari una variante del mito greco che da Clitennestra ad Elettra passasse per Crisotemide, la figura femminile più schiva e segreta del tragico mondo di Eschilo... Ma lei si schermisce come una bimba. «Chissà- ripete con struggente rimpianto- magari non gli sarei piaciuta. Lui che, come monache, ha avuto la Fortunato e Lilla Brignone agli ordini di un maestro come Visconti in quella "Monaca di Monza" che, a suo tempo, sollevò tante polemiche». Rimango esterrefatto. Ma come, penso, possibile che una delle più grandi attrici delle nuove leve si comporti con tanta umiltà? Ma la bella creatura che mi sta davanti non si scompone. Perché lei tuttora ama, venera e rimpiange i suoi maestri ovvero i suoi padri putativi. Chi sono?, le chiedo. «Il primo Mario Ferrero, che incoraggiò me, dopo essere stata ammessa sia alla Civica Scuola d'Arte Drammatica di Milano che all'Accademia di Roma, a optare per quest'ultima soluzione. Mentre il secondo,Peppino Patroni-Griffi, mi volle appena debuttante o quasi nelle vesti della Figliastra nella sua famosa edizione dei "Sei personaggi"». Ma guarda! Mi ero scordato del suo apprendistato romano... Come mai,allora, è tornata sui suoi passi? Forse la Città Eterna l'ha delusa? «Tutt'altro!», è l'immediata risposta. «Il fatto è che io sono e resto fondamentalmente lombarda. E ho bisogno del paesaggio dove sono nata. Se per i romani c'è il Tevere, per una milanese come me ci sono i Navigli bagnati dalla fuliggine ma rischiarati dal sole. E poi c'è la Fabbrica del Duomo, il più gran teatro del mondo con all'interno la scena fissa del suo altare mentre fuori le guglie si rizzano al cielo come le quinte mobili e frastagliate del palco voluto da Shakespeare. Senza dimenticare il Piccolo che è un po' la mia casa». Anche se oggi non c'è più Strehler ma Luca Ronconi? «Per fortuna i maestri non muoiono come i comuni mortali». Cosa significa, mi scusi, una simile affermazione? «Che i veri artisti lasciano sempre dietro di sé un'incancellabile traccia. Io, che ho avuto la fortuna di recitare con Strehler nell'"Isola degli schiavi", ho pianto a lungo la sua scomparsa. Ma poi mi son resa conto che l'importare era continuare nel suo nome a fare dell'arte e non del semplice mestiere. Non ha senso dire che chi subentra sia migliore o peggiore di chi l'ha preceduto.

Se Strehler era Rembrandt, Ronconi ha inaugurato l'era della bottega di Leonardo». Adesso cosa farà? «Mi è stato proposto, per la prima volta, un ruolo maschile. Addirittura quello di Dioniso nelle "Baccanti" a Vicenza. Sono perplessa ma anche incuriosita. Cosa dice? Sarò in grado di affrontarlo?».

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