«Forza Mirella, lottiamo insieme a te»

Rosario: la comunità di connazionali si stringe intorno alla Giai

Luca Telese

nostro inviato a Rosario

Ad esempio ti dicono: «Io sono del 1951». E non ti stanno declinando le coordinate di un certificato anagrafico, ma una data che per loro è almeno altrettanto importante, «il 1951 è l’anno in cui ho lasciato l’Italia e sono venuto qui». Ecco, basterebbe questo: se ti capita di passare una giornata in una di queste straordinarie comunità italiane d’Oltreoceano, ti rendi subito conto quanto sia stata giusta la legge che ha riconosciuto loro il diritto di votare in Italia e quanto sia importante questa doppia identità nazionale che abbiamo seminato in giro per il mondo. Italiani e brasiliani, italiani e venezuelani, italiani e argentini tanto per citare alcune delle famiglie più radicate ed antiche. Ci sono quelli di fine Ottocento, figli di nonni e trisavoli che partirono dal Regno prima ancora che l’Italia diventasse una ma che di quelle radici sono ancora orgogliosi e ti sillabano i loro cognomi con influenze spagnoleggianti, «r» arrotate e sorrisi fiammanti. E poi ci sono quelli del secolo Novecento: arrivati negli anni Venti, Trenta, Cinquanta; qualcuno persino nei Settanta. Se li guardi questi italiani d’Oltreoceano ti sembrano incredibilmente simili a noi, per certi versi più italiani di noi.
Oggi, per esempio, a Rosario sarà il giorno della bagnacaoda, il grande giorno della «famiglia piemontesa» per stare a quel che c’è scritto sulla targa. E Mirella Giai, come accade ogni volta che si prepara il pranzo stagionale, ieri si è svegliata alle 6 del mattino per tagliare le verdure - finocchi, cavoletti di Bruxelles, carote - che devono riposare per un giorno sotto il lenzuolo prima di essere condite e cucinate per il grande pranzo. Nei saloni della «famiglia» ci sono già sui tavoli le terrine in coccio, quelle col fornelletto. E poi per l’occasione arriveranno anche gli italiani delle altre famiglie regionali, quaranta solo in questa città. Come è possibile con venti regioni? Mirella sorride: «E sono pure poche. Lo sappiamo che gli italiani sono speciali per dividersi. Qui hanno litigato in tanti: solo per i siciliani ci sono cinque diverse associazioni». Poi aggiunge con orgoglio che i piemontesi no, tutti uniti nella piemontesa loro. Anche questa bagnacaoda sarà occasione di battaglia per la comunità di Rosario, «tieni duro Mirella, forza Mirella!», ormai è un caso nazionale, dopo l’intervista a il Giornale, rimbalzata fin qui, la chiamano da Buenos Aires per chiederle del suo ricorso, il Clarin (il più letto quotidiano nazionale) ha mandato un reporter dalla capitale qui al Nord per raccontare della sua battaglia, di questa strana guerra di italiani, fra scrutini taroccati e schede da ricomputare.
Intanto tutti entrano ed escono dalla sede. Potresti parlare per ore con Alejandro Jacomelli che fa l’editore, ti cita i libri di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori come fossero tavole sacre e vorrebbe capire meglio cosa mai sarà il partito unico della sinistra. Quando gli spiego che non si è capito bene neanche in Italia, si tranquillizza. E poi ti illustra, con una sintesi meravigliosa, perché in Argentina l’identità nazionale si è legata in maniera indissolubile a quella gastronomica: «Vedi, è la madre che lascia il segno, io sono siciliano per origine paterna, ma mi considero abruzzese perché la domenica mangiavamo i dolci abruzzesi preparati da mia madre». E ha radici abruzzesi anche Adrian Segura: «Mia madre di cognome faceva Savini, arrivata nel ’55. Ma possibile che tu non abbia mai mangiato pizzelle e cuccardelle?». In effetti, malgrado l’incredulità di Alejandro e Adrian, non le avevo mai mangiate. Ed è proprio vero che sono più italiani loro di noi, perché in questi anni di assenza hanno sublimato tutto quello che avevano di italiano, mentre noi lo dimenticavamo. Mirella Giai racconta che la sua piemontesità è affidata al ricordo dello zabaione domenicale preparato a Rosario ma con il cuore che batteva per le colline torinesi. Mario Reviglio ricorda il padre, «arrivato nel ’24», René Guglielmetti dice: «Sono bolognese, papà arrivato nel ’22». Un giornalista italoargentino, Giuseppe Paratore, spiega: «Molti in Italia chiedono: ma che vogliono questi ex emigranti? Cosa c’entrano con noi? Dovrebbero capire invece che questo diritto al voto è il risarcimento per tutte le sofferenze per chi dall’Italia se ne è dovuto andare». Anche la data di Mirella Giai è 1951: «Arrivai a 16 anni, ora non so se diventerò senatrice o meno.

So che in questa campagna elettorale abbiamo stretto le maglie della comunità parlando ai giovanissimi, ricordandogli che devono essere orgogliosi di essere argentini, ma anche italiani». E allora oggi tutti alla «famiglia piemontesa», anche i «terroni». Bagnacaoda, hermanos de Italia.

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