«Ciao amici, mi chiamo Abele Blanc, ho 48 anni ed esercito il mestiere più bello del mondo: la guida alpina». Con questo semplice ottimismo si presenta sul suo sito internet. In realtà Abele Blanc, valdostano, ha scalato tredici delle quattordici vette oltre gli ottomila metri, è maestro di sci nordico, istruttore di sci-alpinismo e di soccorso alpino, artista e fotografo. Le sue opere sono esposte nella mostra «Verso l’alto. L’ascesa come esperienza del sacro» al Forte di Bard, di cui si parla in questa stessa pagina.
Il suo spazio web - blancabele.com – era nato quando progettava la salita alla vetta himalayana mancante, l’Annapurna, tentata cinque volte e segnata da una serie di maledizioni: un compagno travolto e ucciso da una valanga durante l’impresa, un figlio che si è tolto la vita in un parcheggio poco distante dall’abitazione di famiglia ad Aymavilles. Blanc non ne parla. Con gesti e opere racconta invece la sua filosofia. E ci dice che, in fondo, il paradiso è sulla terra.
Abele Blanc, che cosa si prova a raggiungere certe altezze?
«Da giovanissimo toccare una vetta equivaleva a una sfida. Era soddisfazione personale e dimostrazione delle mie capacità. Poi, crescendo, è diventato perfino un bisogno dell’ego. Andare in montagna affinava la mia abilità mediatica: ero qualcuno che aveva una marcia in più, a caccia di successo e notorietà. In questa terza fase, più matura, mi misuro con il naturale declino delle mie capacità fisiche e sono entrato in un momento più spirituale».
L’alpinismo comporta grandi rischi. Ne vale davvero la pena?
«Della montagna si parla solo quando si verificano tragedie e la colpa di questo è anche del bisogno di sensazionalismo di giornali e televisioni. Certo che si affrontano pericoli. Ci sono anche in mare, attraversando la strada, prendendo un aereo. Appendersi a una parete sfidando la forza di gravità significa andare lassù, nel silenzio. E ti obbliga a ragionare. È una scuola di vita. Non bisogna affrontare un’ascensione o una qualunque passeggiata con in mente solo la meta del viaggio. Vanno assaporate la fatica e la gioia di salire, così come ogni piccolo frammento che ci circonda. Vivere nella natura è qualcosa di magico. Noi non siamo più capaci di pensare che l’avventura ci arricchisce».
Quindi non più cime da conquistare?
«Oggi nessun posto è inaccessibile e la conquista è un concetto che ho superato. Rientrava in quella mia seconda fase della vita nella quale approfittavo dell’ambiente alpino per farmi conoscere. Oggi cerco di trasmettere agli altri la passione. È un peccato che molti miei colleghi “usino” la montagna senza comprenderne il valore, senza spiegarne la bellezza. Ricorrere al paradiso per dire quanto si è bravi è limitante».
E la spiritualità che cosa ha a che vedere con la montagna?
«La vicinanza al mondo incontaminato ti costringe a pensare. E a farlo in modo diverso. Osservi tanti piccoli miracoli: una formica, un fiore. E dall’alto ti rendi conto di quanto sia inutile lottare per emergere, per accumulare denaro, per possedere oggetti. La bellezza più importante è in noi, abbiamo il dovere di riconoscerla, di cercare la nostra unicità. Quando sei a ottomila metri anche il concetto di morte assume un significato differente».
Non ha mai avuto paura di morire?
«È normale, a certe quote, temere la morte. Non farlo ti mette ancora più a rischio. Ma di fronte alla grandiosità di un paesaggio ci accorgiamo che anche noi, in fondo, siamo solo energia che si rinnova. Non faccio discorsi buddhisti, dico che ho imparato a dare alla vita un valore diverso. Ci distinguiamo dagli animali perché siamo capaci di provare amore e sentimenti, è la cosa più preziosa che possediamo».
Andare verso l’alto avvicina a Dio?
«Il concetto della mostra al Forte di Bard è proprio questo: l’alpinismo come conoscenza, come religione in sé. Quel che faccio mi è servito a capire me stesso, a migliorare il mio fisico anche attraverso qualche rinuncia. L’uomo deve fare il suo cammino senza farsi influenzare. Nessun guru può insegnarci la verità o darci risposte. Rimane il nostro osservare, il sentire la natura vivere tra gli alberi e sulle creste. Io sono un ottimista, penso che il nostro futuro sia libero dal possesso.
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