Gianni Clerici
«Abbiamo troppi posti letto per acuti, pochissimi per lungodegenti e mancano almeno 5mila letti di terapia intensiva, è indispensabile ridurre gli accessi ai pronto soccorso, spesso inutili, con appropriate cure domiciliari e filtri non punitivi, l'assistenza va radicalmente redistribuita sul territorio, il ruolo dei medici di base va valorizzato, servono collaudate procedure nelle prestazioni terapeutiche, diagnostiche, riabilitative. Tutti questi interventi trovano oggi un consenso unanime tra quanti operano nella sanità, ma la vera priorità sono le risorse finanziarie». Ne è convinto Angelo Fracassi, presidente di Assobiomedica, l'associazione nazionale delle industrie per le tecnologie biomediche e diagnostiche. Aziende, quelle operanti nell'ambito della diagnostica in vitro, che supportano l'attività dei 50mila analisti di laboratorio che forniscono al medico, dopo aver effettuato un miliardo di analisi all'anno, un aiuto fondamentale per una corretta interpretazione dei sintomi, ed imprese che sviluppano e producono migliaia di prodotti tecnologici indispensabili al corretto funzionamento di qualsiasi dipartimento di medicina, quali ad esempio i pace maker, la protesica, le siringhe i sistemi per dialisi.
La spesa sanitaria, pubblica e privata, tra il 1995 e il 2004 è passata da 65.198 a 112.534 milioni di euro. La sola spesa sanitaria pubblica pro capite è comunque inferiore alla media europea: registriamo 1640 dollari (espressi in base al potere d'acquisto) contro i 2210 dollari della Germania, i 2080 della Francia ed i 1800 del Regno Unito. Inoltre in Germania la spesa sanitaria pubblica sfiora il 9 per cento del prodotto interno lordo, contro il quasi 7% della media UE-15 ed il 6% dell'Italia.
«Le risorse destinate alla sanità - precisa Fracassi - vanno aumentate sia perché sono scarse, sia per il disavanzo strutturale annuo stimabile nell'ordine di almeno 5-5,5 miliardi di euro, pari a circa lo 0,3-0,4 del Pil. Per questo sono vitali interventi strutturali importanti sul fronte delle entrate e delle uscite. Tuttavia, non illudiamoci: la spesa sanitaria è destinata a crescere, avviene in tutti i Paesi occidentali. Vi è una maggiore spesa per l'assistenza di lungo periodo ai malati cronici e non autosufficienti. Fortunatamente si sta diffondendo il concetto che la sanità non è una spesa improduttiva, ma un investimento ad alto valore aggiunto e le attività che producono beni e servizi destinati alla salute concorrono al processo di formazione della ricchezza del Paese».
La filiera della salute è costituita, compreso l'indotto, da 2,5 milioni di persone, pari al dieci per cento delle forze di lavoro occupate. Il valore aggiunto della filiera è pari al 5,4 per cento del prodotto interno lordo, raggiunge l'11,1% considerando l'indotto: dalle industrie chimico-farmaceutiche che producono medicinali a quelle che producono apparecchi e strumenti medicali, chirurgici, ortopedici, lenti, occhiali da vista, delle prestazioni ambulatoriali ed ospedaliere Secondo una recente indagine il contributo della filiera della salute al prodotto nazionale lordo è stato nel 2004 pari a 191.900 milioni di euro in termini di produzione diretta, mentre in termini di valore aggiunto di 73.500 milioni di euro contro i 260.600 dell'industria manifatturiera, i 75.
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