Il fragile alleato che Washington non può perdere

L’intimazione a liberare gli ostaggi, a tenere le elezioni alla data prevista in gennaio, a Musharraf perché abbandoni la guida delle forze armate. Più la sospensione dei rapporti militari bilaterali e una serie di misure, anzi di rappresaglie, in vari campi. L’America non poteva fare di meno nei confronti del regime pakistano in fase apertamente repressiva, ma non si vede come possa fare concretamente di più. Perché il ginepraio di Islamabad non è né sorprendente, né nuovo: è il frutto di un equilibrio fragile e contraddittorio fin dal primo giorno. In un Paese contraddittorio da cui è per il momento impensabile attendersi molto di meglio e che anzi, una volta smosso nella direzione moralmente e politicamente giusta, è peggiorato, anzi precipitato. C’è da mettersi le mani nei capelli, per le diplomazie e i governi occidentali. Perché il Pakistan è tutto quello che Washington non desidererebbe fosse. È un alleato indispensabile nella lotta globale al terrorismo dichiarata da Bush dopo la strage di Manhattan, ma è nello stesso tempo uno degli anelli più deboli della catena. Ha messo le sue forze armate a disposizione degli Usa ma continua nello stesso tempo a dare asilo, più o meno involontario, alle organizzazioni che verso l’America nutrono l’odio più radicato. Segretari di Stato e ministri della Difesa americani visitano Islamabad, ma in un’altra parte del Pakistan, nelle zone montuose al confine con l’Afghanistan, continua ad aggirarsi Osama Bin Laden.
Il Pakistan è il Paese musulmano più popoloso dopo l’Indonesia, i suoi rapporti con l’India sfiorano ogni tanto l’ipotesi di una guerra all’ombra del nucleare, dall’Iran sciita lo divide una profonda rivalità come Paese profondamente sunnita. La guerriglia in Afghanistan non ha mai vissuto senza il tramite pakistano, né quando il nemico erano i sovietici né ora che sono gli americani. Musharraf ha poteri molto più dittatoriali di Ahmadinejad ma è un dittatore debole, costretto a barcamenarsi fra il fondamentalismo islamico e gli Stati Uniti. Partivano dal Pakistan, durante la lunga guerra contro l’Armata rossa, i missili americani e la «brigata araba» di Bin Laden. Introdurre in questo groviglio libere elezioni da cui dovrebbe uscire un governo filo-occidentale più che un programma è un sogno. Non va dimenticato, infine, che il Pakistan è il primo Paese del mondo «moderno» a essere costituito su una base unicamente religiosa. Quando nacque, nel 1947, il «Paese dei puri» raggruppò diverse regioni dell’India, anche lontane in tutto e accomunate soltanto dalla fede islamica.

La data va ricordata anche perché è la stessa in cui esplose il conflitto palestinese. A smentita del luogo comune secondo cui la presenza di una «spina irritante», Israele, in una regione del mondo prevalentemente musulmana sarebbe stata l’unico detonante di una guerra che dura da sessant’anni.

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