Franceschini? Lho inventato io e ora lui mi ripaga attaccandomi. È la sintesi dello sfogo di Massimo DAlema. Solo lultima puntata della guerra interna tra padri e figli, padrini e figliastri, che imperversa nel Partito democratico a dispetto della tanto invocata pax congressuale. «Franceschini io lho portato al governo del Paese come sottosegretario - dichiara DAlema in unintervista a Panorama in edicola oggi -, con lincarico di occuparsi delle riforme costituzionali. Sono dispiaciuto per questa continua polemica di carattere personale».
Lex premier, che per la guida del partito sostiene Pierluigi Bersani, non le manda a dire allattuale segretario, che è sceso in campo criticando il vecchio apparato: «Il segretario - continua DAlema - ha voluto caratterizzare la sua candidatura innanzitutto contro quelli che cerano prima e il risultato paradossale è che tutti quelli di prima lo sostengono, salvo il sottoscritto. Questo ripensandoci fa ritenere che si rivolgesse contro una sola persona».
Loccasione è buona per il presidente della fondazione Italianieuropei per dare una stoccata anche a proposito della cosiddetta «questione patrimoniale» sollevata da Dario Franceschini che qualche giorno fa aveva rivendicato per il Pd gli immobili appartenuti ai Ds. «So che è stata creata una fondazione che detiene gli immobili a garanzia del debito nostro che non abbiamo caricato sulle spalle del Pd - risponde DAlema -. Protagonista di questa decisione fu Piero Fassino. Se Franceschini vuole contestare la decisione, ne parlino tra loro. E se vuole il patrimonio, prenda anche i debiti».
E come giudica lex ministro degli Esteri limpostazione data dallattuale segretario al partito in questi venti mesi? «Una scelta rispettabile. Ma sbagliata». «Il problema principale - argomenta DAlema - è stato tagliare i ponti con una tradizione, piuttosto che costruire unalternativa credibile. Si è pensato che il problema fosse quello di combattere contro i partiti da cui il Pd proviene, contro le loro tradizioni e una parte dei loro dirigenti, anziché quello di costruire il nuovo partito in rapporto al Paese e alle sue esigenze». Impari chi ha la pretesa di prendere in mano le redini. La lezione continua: «Anche il meccanismo congressuale è pensato come se esistessimo solo noi: una gigantesca conta interna, che avviene in due fasi e produce una stagnazione lunga mesi. Un danno per il Paese. È prevalsa unidea di partito leaderistico, dove conta di più il leader che gli iscritti. Una scelta rispettabile dal punto di vista politico-culturale, ma sbagliata. Su quel terreno cè un modello ineguagliabile: Berlusconi. Un modello costruito con ben altri mezzi e con una struttura molto potente.
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