Parla e muove le mani. Le agita. Suo padre lo guarda, direi che lo ammira, sorridendo, passandosi, lentamente, la mano destra sul viso, la sorella è una specie di badante che corre, accorre, soccorre. I Facchinetti sono una storia bella e bizzarra di questItalia che canta e che va. Adesso verso Sanremo, alla voce festival, e qualcuno ha pensato a una marchetta, i furbettini del concertino. No, è roba vera, dentro lalbum di famiglia ci puoi trovare tre generazioni e mille fotogrammi, come sono mille i segni dei tatuaggi sulla pelle di Francesco, quello che parla e muove le mani, come sono mille le note di Robi, al secolo Camillo Ferdinando, padre, e mille le curve disegnate tra tavoli, cronisti, telefonini, da Valentina, sorella. Ci sono anche Alessandra, Roberto, Giulia, la Facchinetti United che ha messo insieme tre famiglie e una sola vita. Francesco Facchinetti sta per diventare il quinto Pooh. Calma, nessuna variazione alla ragione sociale, quelli erano e quelli rimangono, quarantanni dopo, il quartetto non aggiunge un posto, a tavola sicuramente, in formazione no. Ma Francesco ha tolto dallinsegna il «Dj», non può fare lo stesso con il tatuame che gli copre il corpo che neanche il codice da Vinci gli si avvicina.
Guardando il tipo, da fuori, magari in tivvù, che sia un reality o uno show musicale, si potrebbe immaginare chissà che e chi, partendo dal capello per finire alle calzature, alto-basso si scriverebbe sulla confezione FF, Francesco Facchinetti. Ma le cose non stanno così, niente affatto così. «Perché don Giussani mi ha insegnato molto della vita, incontrandolo, ascoltandolo ho aperto i miei occhi e insieme lo spirito. Poi le cose cambiarono a scuola. Non ero un genio e mia madre che per me è la madonna, chiedo scusa alla madonna, mia madre andava in angoscia quando incontrava i professori. Anzi, uno le disse che ero psicopatico e mamma Rosy non capì più nulla. Ero in terza media, da quel giorno le dissi di stare alla larga dalla scuola; cocciuto, convinsi mio padre a iscrivermi al liceo classico». Qui Camillo Ferdinando, ridetto Robi dal dialetto bergamasco (da bambino era magro come un chiodo, u robì, un robino, da cui...), qui, dunque, il padre manda giù saliva perché avrebbe da dire. Francesco continua: «Bocciato il primo anno, un disastro. Ci riprovo con una promessa al preside, se mi promuovete mi tolgo dai piedi». Così fu, promozione e trasloco, improbabile in verità, cioè allistituto geometri, dallanabasi allestimo catastale tanto per ribadire la cilindrata del personaggio. Non ci fu soltanto Comunione e liberazione ma anche la frequentazione di un circolo anarchico, in occhiali scuri, senza far sapere di essere figlio di uno dei Pooh. «Quando una fanzine lo scrisse vennero giù frasi e insulti, mi fecero scoprire la loro pelle, la loro viltà». Intanto cera la musica, roba di famiglia, partendo dal nonno, corista, i canti di chiesa a Longuelo, le sagre di paese ad Astino e ovviamente passando da Camillo Robi, quello che suonava con I Toni, i Monelli, Les Copains di Pier Filippi prima di salire sui Pooh. Il resto, si potrebbe dire, è vita, è musica che sono la medesima cosa come si avverte, a pelle, ascoltando il brano prossimo di Sanremo: «Mio padre di solito è negativo, sbracato su una sedia sottolinea errori di struttura, di lettura, di impostazione. Stavolta no, io cantavo e lui annuiva eppoi mi ha chiesto di cantarla lui, questa Vivere normale. Mannò, papà, ho fatto una canzone bella dopo venticinque anni e tu me la vuoi portare via!».
Dice sul serio e Camillo Robi stavolta ride, nascondendosi con tutte e due le mani e Valentina fa la smorfia strizzando gli occhi. Francesco continua ad agitare laria, racconta: «New York mi ha fatto cambiare vita. Ero uno che si svegliava alle sei del pomeriggio e andava a letto alle otto del mattino. Facevo il modellaro, quando Ringo mi fece scoprire lHollywood, la discoteca di Milano che per uno che veniva da Mariano Comense, come me, era davvero la collina di Los Angeles. Ne ho viste e ne ho fatte, femmine bellissime». Era il suo carnevale perenne: «Quando papà mi raccomandò per un posto a Rtl, pensai di sognare. Feci le solite pazzie: affittai una Porsche e la posteggiai nel box riservato al direttore. Contratto stracciato. Unaltra volta insultai in diretta notturna Air One, dicendo di tutto e il direttore indicandomi luscita mi ricordò di avere appena sottoscritto un contrattone pubblicitario con la compagnia aerea». Bei tempi, si potrebbe dire, Cecchetto intuì il fenomeno e sappiamo come da cosa nacque cosa. Ma poi lHollywood da discoteca diventò davvero America: «E lì ho capito che dovevo azzerare il tutto. Adesso mi sveglio alle otto, faccio jogging, poi lezioni di piano, di chitarra, studio, e a sera a letto presto». Insomma è diventato padre senza avere figli e nemmeno mogli. Va da sé che non scappa davanti allargomento gossipparo, alla voce Yespica: «Lho amata, penso che mi abbia amato. Ma a un certo punto siamo stati ingoiati dai giornali che si occupavano di noi, fotografi davanti a casa, al ristorante, dovunque, comunque e non riuscivamo a viverlo il nostro amore, le notizie, i pettegolezzi viaggiavano più veloci di noi. Anche quando la storia si concluse andò avanti per altri otto mesi. LIsola mi servì comunque, così come mi servirono le esibizioni folli, a torso nudo a Sanremo, quando, sapendo di essere ultimo in classifica, avevo deciso di non presentarmi più alla serata finale; o il mio look, i capelli, le scarpe, gli abiti, tutto quello che cera».
E che oggi non cè, a parte i graffiti sulle braccia, il codice di Francesco da Mariano Comense. Cè un altro Facchinetti, forse uguale a quello del liceo, ma nuovo, verace, immediato, senza manifesti o etichette di propaganda: «Apartitico, perché credo che troppi siano stati sfruttati dalla politica, senza capire, senza capirlo».
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