La Francia ringrazia i «grandi vecchi» Zidane e i suoi fratelli

La vittoria sulla Spagna ha rilanciato il gruppo dei veterani e l’orgoglio di Zizou: «Siamo rinati» Chirac: «Fieri di questa squadra»

Riccardo Signori

nostro inviato

ad Hannover

C’è un arbitro che ancora oggi rimpiange di aver incontrato Zidane: si chiama Arturo Brizio Carter, un messicano che distribuiva cartellini rossi come fossero noccioline. Nel 1998 pescò un fallaccio di Zizou nella partita con l’Arabia. Non gli sembrò vero: un bel rosso anche a te. Ma dopo scontò. Lo ha raccontato in questi giorni: «Mi giocai la finalissima. Arbitrare la squadra che ospita i mondiali è sempre problematico. Se non lo avessi espulso avrei fischiato la finale dei mondiali di Francia. Ne sono convinto». La zeta di Zidane talvolta è uno sfregio, talaltra un incantesimo. Dove passa lascia il segno, nel bene e nel male. Dicono che a Lipsia ci sia una porta dello spogliatoio omaggiata del calco del suo piede: schiaffeggiata quando la partita di Zizou contro la Corea è finita anzitempo. Ci sono state le smentite, il dubbio resta.
Ma Zidane sa lasciare anche altro calco. Quello del campione. Il mondiale di Germania sta cominciando a riscoprirli tutti, campioni e vecchioni che spesso sono la stessa cosa: Beckham che trascina l’Inghilterra con una punizione, Totti rivive con un rigore, Ronaldo che fa l’uomo record, Figo che produce assist. Poi c’è Zidane che tiene tutti sotto tortura: ogni partita potrebbe essere l’ultima e nessuno, che ami il calcio, vorrebbe lo fosse. La Spagna non se l’è sentita di toglier di mezzo questo campione che sente anche un po’ suo. Martedì sera Lilian Thuram ci ha fatto caso e lo ha detto in un orecchio a Zizou. «Adesso puoi dire alla stampa che la Spagna ha perduto per farti un piacere nel giorno del tuo giubileo: ti hanno lasciato anche segnare». Zizou ha accennato il sorriso, come un sovrano con i suoi sudditi. Senza alterigia. Agli spagnoli Zidane voleva far rimangiare qualcosa: sentir quei fischi durante l’inno della Marsigliese non gli aveva conciliato i nervi. Quello sparlar dei vecchioni francesi non gli era piaciuto. Glielo ha fatto sapere sul campo, lo ha ripetuto dopo. «Così adesso sapranno che non siamo poi tanto vecchi. Ma solo esperti. Volevamo dimostrare di avere qualità nei momenti che contano».
E l’avventura continua: Zidane e i suoi fratelli, quelli che giocarono la finale di Francia ’98 ed ora sono rimasti in sei. Lui e Thuram, Vieira e Barthez, Henry e Trezeguet. Pronti a ricominciar battaglia con Ronaldo, Cafu e Roberto Carlos che sono i sopravvissuti dell’altra storia, pronti a far vincere la Francia con tutta la voglia di grandeur che ne consegue, come capitò nel 1986 a Guadalajara, in Messico, quando in campo c’era Platini, Zizou era solo un tifoso e tutto finì in una memorabile sfida ai rigori. «Allez la France!» risuona ancora più dolce che mai. Allez Zizou è un grido che nessuno riesce a soffocare, più invocante che mai. Come l’altra sera. Serviva ritrovare il genio, e la Francia ha ritrovato Zidane. Racconta Jorge Valdano, che lo ha toccato con mano nei primi anni al Real. «Lui sa gestire come pochi l’intensità delle emozioni in questi incontri così difficili. Ed infatti Zizou ha sempre risposto presente nei momenti che contano». Spesso con un gol. Ed anche stavolta ha ritrovato dentro di sé la musica di Mozart, la mano di Raffaello, la poesia di Prévert. Non bastano i piedi. Ci vuole genio e creatività. Zidane compendia le cose facili più che quelle difficili, ma lo fa con tal maestria da renderle quasi insuperabili. L’età fa pesare le gambe, ogni partita potrebbe essere un tranello. Eppure i francesi si sono aggrappati ancora una volta a questo trentaquattrenne.
Possono stare in panca gli altri, non Zidane. Problema psicologico più che tecnico. Il gol contro la Spagna, splendido slalom fra mille pensieri e altrettanti ricordi, potrebbe essere anche l’ultimo nella sua storia di calciatore. Come se il dio del pallone avesse deciso di ricompensarlo per tutto quello che ha costruito, e qualche volta distrutto, in carriera. Un gol per la Francia, un gol per sé, un gol per il calcio, più che un gol contro la Spagna. Per batterla non ce n’era più bisogno. Una candelina da spegnere per una serata da non dimenticare. Come potrei? Ha ammesso lui. «È formidabile andare ancora avanti, che l’avventura prosegua. La Francia è rinata, il terzo gol è stato un premio per me, ma contava vincere». E la Francia è tornata ai Campi Elisi.

Venti milioni di persone non si sono scollati dalla tv. Chirac ha messo la mano sul cuore per dire: «Siamo fieri di questa nazionale». Tutto come fosse tornato il ’98. E Zidane non fosse sull’uscio in attesa di annunciare: «Ho finito».

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