Fatima è solo l’ultimo capitolo di una guerra di religione. La polizia di Nantes l’ha fermata, l’ha fatta scendere dalla macchina che stava guidando e le ha fatto la multa: ventidue euro. Fatima non era passata con il rosso, non aveva sbagliato precedenze. Aveva il velo che le lasciava scoperti solo gli occhi. Una fessura per vedere. «L’agente mi ha fatto il verbale per come ero vestita» ha raccontato lei, 31 anni nata in Francia da genitori marocchini. «Abbiamo discusso, perché per me era una semplice e pura discriminazione». Per la polizia invece è infrazione del codice della strada: «circolazione in condizioni non confortevoli». Pericolosa per lei e per gli altri.
Ma questa è solo l’ultima mossa della guerra contro il burqa di Sarkozy. Lui che il velo non lo ha mai potuto digerire, ora inizia a godersi i primi risultati della lunga battaglia iniziata già prima di venire eletto presidente. La Francia va dritta verso l’obbiettivo: egalité, uguaglianza a tutti i costi; le donne andranno in giro a testa alta, senza distinzioni, senza discriminazioni, come tutte le altre. Entro marzo il governo procederà sulla strada di un disegno di legge per il divieto totale del velo integrale. Nelle strade, nei luoghi pubblici. Dappertutto.
La Francia illuminista e progressista non vuole scendere a patti con l’islam. Turiste comprese. Idee che non lasciano spazio a interpretazioni, le duemila donne francesi che portano il velo integrale si adeguino. Non senza polemiche, interrogativi, dibattiti, ostacoli.
La legge, per passare, dovrà superare le possibili opposizioni del Consiglio costituzionale e della Corte europea dei diritti umani, se saranno sollevate eccezioni di illegittimità. E, in caso di bocciatura, sarà la seconda pesante sconfitta per Sarkozy dopo la carbon tax che non è riuscito a imporre. Ma non solo, la legge avrà bisogno di un duro «tirocinio» nella società civile, il tempo necessario per imparare e digerire le nuove regole. Gli imam francesi mettono in guardia: «Così si rischia di chiudere tra le mura domestiche le donne che non toglieranno il velo».
Ma la Francia non è sola. A far scoppiare il caso in Spagna, una ragazzina di 16 anni di Madrid che ha deciso di entrare a scuola velata. La scuola l’ha rimandata a casa, un braccio di ferro che si trascina ancora oggi. «Contrario al regolamento», dice il preside, lei non molla e dice di non voler lasciare la scuola, le sue amiche, i suoi insegnanti. Si è scatenato il dibattito. Il punto è sempre lo stesso. Il velo divide, c’è chi lo vede come discriminazione delle donne e chi parla di identità, di appartenenza e orgoglio per quella cultura. Vietare o tollerare. La Chiesa si è schierata a favore della studentessa. È sceso in campo il portavoce dei vescovi iberici Mgr Juan Marinez Camino a rivendicare il «diritto di manifestare la propria credenza». Una battaglia trasversale per dire ancora una volta no al laicismo esasperato bandiera di Zapatero. Lui che ora si trova come schiacciato: da una parte c’è la laicità da difendere, dall’altra la salvaguardia di un progetto di legge appena nato che vuole garantire più diritti alle altre religioni.
E in Belgio la situazione non è certo più semplice.
Partiti prima degli altri Paesi europei sulla regolamentazione del velo islamico, il processo si è dovuto bruscamente interrompere per la crisi che ha travolto il governo. Ieri si sarebbe dovuto votare per imporre il divieto di indossare il velo nei luoghi pubblici, ma è stato rimandato a causa della crisi del governo. Una guerra contro il velo che presto potrebbe iniziare anche Israele. «Impariamo dalla Francia», ha detto una parlamentare di Kadima. «Il velo è solo un’umiliazione e non ha niente a che vedere con la morale religiosa».
La stessa idea della Carfagna che da tempo dice: «Occorre una legge che vieti in Italia il burqa, simbolo di sottomissione della donna e ostacolo a una vera politica di integrazione. Togliamolo dalle scuole». Non è sola, la Santanchè, la Gelmini, sono d’accordo. Il dibattito è aperto anche da noi.
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