Frane Barbieri, il cosmopolita

Frane Barbieri apparteneva a quella vecchia razza di giornalisti per i quali il giornalismo era, per dirla con Hannah Arendt, la «vita attiva», ossia uno stato di mobilitazione permanente, una ricerca sempre vigile, una curiosità incalzante di sapere ciò che accade, il giornalismo era la sua vita, la sua passione, il suo godimento. E lui era un «professionista» nel senso migliore della parola, nel senso che presuppone la consapevolezza dell'importanza che riveste per la nostra società l'informazione che un abisso separa dalla propaganda con la quale molti, persino coloro che se ne occupano, ancora la confondono. «Professionista» non perché il giornalismo fosse il suo pane quotidiano, il suo mestiere e strumento di mestiere, bensì perché gli aveva permesso di vedere e di fare vedere, di comprendere e di fare comprendere il mondo nel quale viviamo, un mondo turbolento che sfida ogni previsione, quasi in rivoluzione permanente. Dopo che nel 1974 Montanelli e Bettiza (anche lui originario di Dalmazia, di Spalato) ebbero fondato il Giornale, Barbieri divenne una delle vedette del nuovo quotidiano. I suoi articoli, nei quali si analizzava il mondo comunista, i suoi reportage, le sue interviste con le personalità più diverse, da Berlinguer a Craxi, da Ceausescu a Suarez, da Herriman a Carrillo, miranti sempre all'essenziale, resteranno sempre documenti di preziosa consultazione. È stato nell'atmosfera libera d'Italia che il suo talento si è potuto esprimere completamente e il suo orizzonte espandersi.

Dalmata, jugoslavo, italiano, egli era un cosmopolita e cittadino del mondo.
François Fejitö - 10 agosto 1987

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