Roma - Un omicidio compiuto con "razionale lucidità". Raggela la sentenza della Cassazione sul caso di Cogne. Secondo la Consulta Annamaria Franzoni uccise con "razionale lucidità" il figlioletto Samuele, di 3 anni e 2 mesi, la mattina del 30 gennaio del 2002, nella casa di Cogne. Lo sottolinea la sentenza 31456, depositata oggi, che contiene in 50 pagine, le motivazioni in base alle quali i Supremi giudici hanno confermato la condanna a sedici anni di reclusione nei confronti della donna. Ad avviso degli ermellini, è da escludere, "al di là di ogni ragionevole dubbio" che a uccidere Samuele sia stato un estraneo. In proposito, i giudici di piazza Cavour sottolineano che "una volta dimostrato l’assoluta implausibilità dell’ingresso di un estraneo nell’abitazione e la materiale impossibilità che costui possa avere agito nel ristrettissimo spazio di tempo a sua disposizione, e una volta esclusa, come esplicitamente fa la sentenza di merito, ogni responsabilità da parte del marito dell’imputata e del figlio Davide, unica realistica e necessitata alternativa residuale è quella della responsabilità della sola persona presente in casa nelle fasi antecedenti la chiamata dei soccorsi".
L'arma del delitto "Il mancato reperimento dell’arma del delitto (ma sembra più corretto parlare della sua mancata individuazione, non potendosi escludere che sia stato usato un oggetto presente nell’abitazione, reso non identificabile in seguito all’eliminazione di ogni utile traccia), unitamente alla circostanza che non è stata dai Lorenzi denunciata la scomparsa di alcunchè, ha del tutto ragionevolmente indotto i giudici a considerare ancor più implausibile l’ipotesi della responsabilità di un estraneo". Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni. "Le indagini - ricordano i giudici della Suprema corte - hanno consentito di dissolvere ogni motivo di sospetto a carico dei soggetti potenzialmente animati da inimicizia nei confronti della coppia e gravitanti nella cerchia delle loro relazioni". Sempre a proposito dell’arma, la Cassazione concorda con i giudici di merito che hanno escluso sia stato uno zoccolo, propendendo per un oggetto tagliente con un manico.
Il movente A spingere la Franzoni a uccidere il figlio potrebbe essere stato un capriccio del bimbo. Non è stato possibile, avverte la Suprema corte, individuare con "certezza la causale o occasione che originò il gesto criminoso". Ma questa circostanza "non impedisce - dicono i giudici di piazza Cavour - data la concludenza del quadro indiziario, di ascriverne la responsabilità all’imputata. Quanto al problema del movente del delitto, premesso che negli omicidi connotati da dolo d’impeto, come questo, sembra più corretto parlare di occasione piuttosto che di causale (quest’ultima implicando un preciso interesse pratico alla consumazione del reato), l’assenza di sicuri elementi di prova circa le ragioni che innescarono la condotta dell’agente non ha consentito di formulare ipotesi, supponendosi che la donna abbia reagito a qualche capriccio del bambino (a detta dell’imputata svegliatosi e alzatosi dal letto proprio nell’imminenza della sua uscita con il figlio Davide) e abbia agito in preda ad uno stato passionale momentaneo".
Niente sconti Per la Cassazione il "trattamento sanzionatorio" non meritano alcuna "censura". Secondo la Suprema Corte bisogna tenere presente non solo "la natura del reato" ma anche "le modalità particolarmente efferate del gesto criminoso (numero e violenza dei colpi, almeno 17, reiterati nonostante il tentativo di difesa compiuto dalla vittima, testimoniato dalle lesioni riscontrate sulla sua mano sinistra) nonchè le circostanze di tempo e di luogo dell’azione e l’elevata intensità del dolo, pur ritenuto d’impeto (anche tale specie di dolo consentendo graduazioni della sua intensità)". La Franzoni è pienamente imputabile e correttamente i giudici di merito le hanno attribuito "il compimento di atti preordinati alla propria difesa, primo dei quali l’eliminazione o la ripulitura dell’arma del delitto". Ma anche "la ricollocazione degli zoccoli al piano superiore, con l’avvertenza di non lasciare tracce di calpestio lungo il percorso, nonchè l’occultamento della casacca del pigiama sotto il piumone e la distorta rappresentazione dello stato del bimbo fatta al 118, pur avendo la donna ammesso di aver subito constatato le evidentissime ferite sul capo del piccolo".
Tutti questi atti non rientrano nella "routine quotidiana" e sono pertanto interpretabili come "sintomo di non interrotto contatto con la realtà e inalterata coscienza di sè e delle proprie azioni nonchè di razionale lucidità".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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