La Franzoni si difende con un «libro-verità»

Stefano Zurlo

da Milano

Il 12 novembre Samuele spegnerebbe otto candeline. La mamma, Anna Maria Franzoni, gli dedica il libro che proprio quel giorno arriverà in libreria: La verità, Piemme, scritto insieme all’inviato del settimanale Gente, Gennaro De Stefano. Capitolo dopo capitolo, la donna ripercorre tutte le tappe della tragedia che ha scosso e diviso l’Italia, cominciando da quegli istanti terribili, la mattina del 30 gennaio 2002: «Il piumone copre completamnete il letto, penso che Samuele si sia nascosto per farmi lo scherzo del cucu, ma, nello stesso momento, sento un respiro strano, prendo il piumone e lo alzo, buttandolo sul letto. Un sussulto. Urlo: “Samuele”!, ma la voce è affogata».
È l’incipit di un dramma che si è tinto di giallo e aspetta ancora una risposta definitiva. La Franzoni si difende puntigliosamente per oltre duecento pagine, ricostruisce tutti i passaggi della vicenda, si sofferma sull’indagine e prova a smontare gli indizi raccolti dall’accusa, descrive il momento dell’arresto e la permanenza in carcere. Poi il ritorno a casa, la sentenza e la condanna a trent’anni, l’appello e la seconda perizia psichiatrica che ha virato verso la seminfermità di mente. «Secondo la giustizia italiana - prosegue la mamma di Cogne - avrei ucciso mio figlio con lucidità, cinismo e spietata freddezza. Poi un gruppo di cosiddetti scienziati della mente, senza mai incontrarmi, ha stabilito che soffro di crepuscolo della memoria e che, se a uccidere mio figlio sono stata io, allora in quel momento ero inferma di mente». Insomma, tutto e il contrario di tutto.
Un gigantesco pregiudizio, secondo l’imputata: «Non può essere stata che lei - è la frase più ricorrente - perchè in quella stanza non c’era nessun altro. Questa certezza accusatoria mi perseguita sin dalla detenzione alle Vallette di Torino».
Il coautore confessa che pure lui, fino a qualche mese fa, era colpevolista: «Poi ho cominciato a leggere le carte, a fare confronti, a studiare i dettagli e le certezze sono crollate». Di più è scoccata la scintilla, favorita dalla sorprendente solidarietà fra intervistatore e intervistata: «Io a tutto pensavo fuorchè a scrivere un libro su questa storia. È stata Anna Maria a chiedermelo sei mesi fa. “Tu che sei stato in carcere”, mi ha detto, “sai cosa ho provato e sei la persona giusta per raccontare quel che ho in mente”. Io infatti avevo spiegato ad Anna Maria che quindici anni fa sono stato due mesi in cella per aver difeso un muratore innocente condannato all’ergastolo. Ho pagato caro quel gesto perchè una sera un poliziotto mi ha messo in macchina della droga e c’è voluto tanto tempo prima che io venissi assolto e lui condannato».
Certo, il testo esce opportunamente sovrapponendosi al calendario della giustizia. Il 20 novembre a Torino riprenderà il processo d’appello e le prime udienze saranno dedicate proprio ad esaminare il lavoro dei periti che, pur fra cautele e distinguo, hanno sposato l’ipotesi della seminfermità. «Questo libro - aggiunge De Stefano - raccoglie, per usare il lessico del tribunale, le dichiarazioni spontanee della Franzoni, in vista della sentenza prevista per Natale». «La lettura del volume, che Gente offrirà a partire da oggi - rincara la dose il direttore del settimanale Pino Aprile - suscita pensieri molesti o, se si preferisce, semina dubbi. Siamo sicuri che sia stata lei a macchiarsi di quel crimine orrendo?»
«In tutti questi anni - risponde la Franzoni davanti al registratore - non sono mai stata angosciata dalla prospettiva del carcere o del manicomio... Il terrore è sempre stato solo quello, pur volendolo con tutte le mie forze, di non riuscire a conoscere il nome dell’assassino del mio piccolo Samuele».
La Franzoni guarda avanti, ma consegna anche una piccola rivelazione, un ricordo contenuto nell’album di famiglia dei momenti felici.

Nel luglio 2001, sette mesi prima del disastro, Giovanni Paolo II, in vacanza in Valle d’Aosta e di passaggio vicino a Cogne, prese in braccio e accarezzò Samuele. «È un ricordo - nota lei - che che io e mio marito Stefano conserviamo gelosamente».

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