Freire, una Sanremo d’autore Petacchi e Pozzato non bastano

nostro inviato a Sanremo

Poi dice che il ciclismo è uno sport per bestioni. Lo sport dei muscoli, della fatica e delle teste quadre. Ecco, come tutte le dicerie idiote, anche questa può tranquillamente finire al macero, buttata a mare tra le onde di Sanremo: il signor Oscar Freire, meglio noto come la Gattamorta del gruppo, illustra con un capolavoro dei suoi come anche nel supremo esercizio della fatica il cervello conti comunque più della forza bruta.
Terza Sanremo, per lui. Come le altre, più delle altre, è vittoria d'autore. Il marchio di qualità è il solito, ormai riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo (manca solo la prima imitazione cinese). Mentre gli altri si dannano, chi più chi meno, chi prima chi dopo, l'astutissimo si preoccupa soltanto di tenere le ruote giuste, di non prendere vento in viso, di non sprecare nemmeno un nanogrammo di fatica (lo so benissimo che la fatica non si misura i nanogrammi: è un modo di dire, vediamo di capirci). Così fino agli ultimi trecento metri, dopo trecento chilometri di diligente preparazione. Poi, il Freire dei grandi show mondiali. L'assolo è irresistibile, indiscutibile, irripetibile: tutta bile per gli avversari, che non sono scendiletto qualunque, ma rispondono al nome di Boonen e Petacchi. I battuti aggiungono altri carati ad una vittoria di sovrana caratura: è praticamente un podio da campionato del mondo, quando il Mondiale finisce da Mondiale.
Semmmmmbra facile, diceva il vecchio spot. Anche la Gioconda di Leonardo sembra un quadro facile. Anche la Pietà di Michelangelo sembra una scultura semplice. Anche Imagine sembra una canzone elementare. Persino la teoria della relatività, una volta scritta in formula, sembra facile. L'apparente semplicità del risultato è tipica di tutti i capolavori. Nel suo piccolo, pure la Sanremo di Freire lo è. Cosa ci vorrà mai: stai lì con i primi fino a Sanremo, poi li tramortisci allo sprint. Peccato che a svolgere questo banale compitino ci provino in duecento, ma alla fine il risultato torni soltanto a lui: il campione riflessivo, il campione sornione, il campione che ormai potremmo pure mourinizzare, ribattezzandolo tranquillamente Sorni-Uan.
Perdere in modo così netto da un vincitore così grande rende molto più nobile pure la sconfitta. Teatro di dopogara apocalittici, con biciclette scaraventate nei lunotti delle ammiraglie e corridori che se le promettono a futura memoria, ma anche solo di rabbiose recriminazioni e di eterni ma-se-però, questa volta il lungomare di Sanremo è il luogo della pace e della rassegnazione: non si trova in giro un cane disposto a pronunciare una sola parola di stizza. Tutti uniti nel dire le poche parole doverose: troppo forte questo Freire, e chi lo batte un Freire così. Lo ammette Boonen, il play-boy milionario uscito dai cocaina-party per tornare ai suoi regali livelli. E lo riconosce Petacchi, reduce da un inverno di sinistri vari e articolati, dunque bravissimo a centrare comunque il terzo posto.
C'è tutto un mondo di promossi e di bocciati, alle spalle di questo Rotary del podio. Prima di tutto e sopra tutti c'è Sacha Modolo, lieto evento e fiocco azzurro del nostro ciclismo: a 22 anni, neoprofessionista, lancia il primo assordante vagito con un quarto posto fenomenale, duellando senza timori e senza tremori nella giungla spietata dello sprint. Per noi tutti, la buona notizia. Una volta tanto, il baby-prodigio è italiano. Da troppo tempo erano immancabilmente stranieri. Questi, a Sanremo, colano invece a picco: l'ultimo vincitore Cavendish paga l'inverno trascorso dal dentista, mentre il norvegese Boasson Hagen paga il chilometraggio ancora troppo più grande di lui. Se ne facciano una ragione, i due fenomeni di ultimissima generazione: non è che possiamo naufragare sempre noi. Noi abbiamo già dato. Tutto il 2009 senza una sola vittoria importante è ancora lì che grida vendetta. Per la verità abbiamo ricominciato allo stesso modo, perdendo ancora: ma stavolta in un modo tutto diverso. Molto più consolante. Perché Petacchi e Modolo, il vecchio e il giovane, perdono un sontuoso sprint da un sontuoso vincitore. Ma soprattutto perché stavolta possiamo vantare l'unico vero assaltatore della gara, il solo temerario che abbia seriamente tentato di far saltare questo monolite dello sprint chiamato Milano-Sanremo. Il suo nome è Filippo Pozzato, campione d'Italia, finalmente campione di taglia. Bisogna essere molto forti e molto folli per pensare di fare selezione alla Sanremo. Come gioco, è un «solo contro tutti» che demoralizza ancora prima di partire.
Eppure Pippo ci prova. Da lontano e da vicino, sul Poggio e giù dal Poggio. Fino a poche centinaia di metri dalla meta. Perché certe missioni impossibili riescano, serve un'eccezionale congiunzione astrale.

Gli era piovuta dal cielo nel 2006, stavolta si gira dall'altra parte. Non importa: Pozzato resta da voto 8. Non è poco, per un uomo che si è fatto tatuare una carpa sulla schiena. Dice che in Giappone porta fortuna. Servirà per vincere la Tokyo-Okinawa.

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