Stefano Zurlo
da Milano
Il fax che porta le condanne arriva a Milano quasi subito, nella notte fra giovedì e venerdì. Ma gli imputati sono più veloci della procura generale e giocano danticipo sfilandosi dalla presa del tribunale di sorveglianza ambrosiano. Non tutti, per carità, ma persa la guerra, i Previti e i Pacifico provano a vincere almeno lultima battaglia: il parlamentare azzurro si consegna al mattino, lavvocato Attilio Pacifico, pure condannato a 6 anni, nel pomeriggio. E pure lui converge su Rebibbia. «È come andare a un funerale», mormora il settantatreenne legale che con questa mossa mette in atto un comportamento virtuoso che non solo lo allontana da Milano ma diventa una carta da giocare per agguantare i benefici previsti dalla ex Cirielli.
Ormai il processo è finito, inutile disegnare strategie, ora ci si aggrappa ai calcoli, si incrocia la ex Cirielli con altri dati: il cosiddetto presofferto, insomma la carcerazione preventiva subita a suo tempo, altri elementi. E il destino si compie.
Circolano voci che anche Giovanni Acampora, punito con 3 anni e 8 mesi, si sia costituito. Nel pomeriggio la smentita, ma il suo difensore Carlo Taormina chiude il dibattito: «Si costituirà qui a Roma fra stanotte e domattina. La realtà va affrontata e Acampora non si tirerà certo indietro».
Previti e Pacifico sperano di poter tornare a casa in tempi rapidissimi, nel giro di una settimana, forse anche prima, e di scontare la pena in detenzione domiciliare. Per Acampora invece valgono altri conteggi: «A suo tempo - spiega Taormina - rimase in cella per cinque mesi, ora dovrà aspettare 48 giorni per chiedere laffidamento in prova ai servizi sociali, previsto quando la pena residua scende sotto il tetto dei tre anni».
Insomma, chi può cerca di aprire un paracadute. La situazione più difficile è quella che pesa sulle spalle di Vittorio Metta, il giudice che seguì il caso Imi-Sir in corte dappello: la Cassazione gli ha confermato la pena di 6 anni e almeno fino ad agosto, quando taglierà il traguardo del settantesimo compleanno, Metta non potrà chiamare in soccorso neppure la ex Cirielli. Pochi minuti prima della sentenza, Metta si sente male: guai al cuore. Lo ricoverano in clinica, lì lo colpisce la mazzata del verdetto. Ma anche Metta non aspetterà che Milano bussi al suo capezzale. I suoi legali assicurano che raggiungerà Rebibbia al più presto, quando le gambe lo sorreggeranno.
Intanto lavvocato Alberto Biffani esprime il suo disappunto: «Una sentenza che non ci saremmo mai aspettati, che tradisce la fiducia di Metta nella giustizia e dunque nella capacità del sistema di correggere i suoi errori. Lamarezza è grande soprattutto perché nella difesa di Metta non è mai stata fatta questione, per suo desiderio, di rispetto di forme ma solo della verità dei fatti». Biffani è deluso ma non si arrende: «Cè solo da augurarsi a questo punto che Vittorio Metta non sia stato condannato perché qualcun altro doveva esserlo. Lingiustizia è troppo grande perché si rinunci, nei limiti e nel rispetto degli strumenti previsti dallordinamento, a vederla un giorno riparata».
Questo è il futuro anteriore.
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