Fuggito dal ghetto in fiamme ridà vita alla Tripoli perduta

Architetto milanese ricostruisce la sua città d'infanzia. E le vicende drammatiche dell'ultimo pogrom di Libia

Fuggito dal ghetto in fiamme ridà vita alla Tripoli perduta
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Ogni cosa è illuminata, di quella sua Tripoli perduta. Ogni sensazione. Salvata nell'unico file possibile: la memoria. Dopo 58 anni, quel paradiso perduto Yoram Ortona lo ha ricostruito nei minimi dettagli, a Milano. La casa, le persiane, le colonnine, le palme. Teneva a mente i luoghi, i nomi, i colori, anche i profumi del gelsomino e del mare. Era un ragazzino e il fermento di quella Tripoli colorata e vitale gli sembrava paradisiaco. Ma l'ultimo odore che ricorda è quello acre del fuoco che vide fuggendo in bicicletta. Sì perché d'un tratto il paradiso si trasformò in uno spettacolo infernale di devastazioni e incendi. «Le urla spaventose si confondevano con le sirene dei pompieri». Era il 5 giugno 1967 e con la Guerra dei sei giorni era scoppiato l'ultimo pogrom di Tripoli.

Aveva quasi 14 anni, Yoram, e quello che pareva un normale lunedì era felicemente iniziato come tutti gli altri. «Alle 7,30 ero andato a scuola con la mia Graziella blu per gli esami di terza media. Alla Dante Alighieri, l'istituto dal quale mio padre era stato cacciato nel 1938 per le leggi razziali, applicate anche in Libia. Mi ero portato un vocabolario Zanichelli e con la mia penna Parker blu iniziai a scrivere il mio tema».

Quel tema, Yoram, non lo finì mai. Mezza città era in fiamme, la caccia all'ebreo fece 17 morti. «La mia famiglia era divisa in quattro parti diverse della città». La madre minacciata a casa, lui a scuola, i fratellini dalle suore e in uno studio notarile del centro suo papà Marcello, un tempo giovanissimo direttore del Corriere di Tripoli. «Mi disse al telefono che non poteva uscire racconta - perché sotto l'ufficio si era radunata una folla scalmanata e sempre più grande». Yoram fuggì in bicicletta, a fine giornata riuscirono miracolosamente a riunirsi. Dovettero stare chiusi in casa per 12 giorni, poi scappare lasciando tutto. Diretti in Italia, come tante altre famiglie.

Il pogrom del 1967 era il terzo a Tripoli. Con le rivolte antisemite del 1945 e del '48, erano andate via 35-40mila persone. L'ultimo pogrom mise in fuga i circa 5mila ebrei che erano rimasti in città, cancellando per sempre ogni traccia di quella che era stata una delle più antiche comunità del Mediterraneo. Tra Nord Africa e Medio Oriente, quasi un milione di persone ebbe la stessa sorte. Storie diverse, con lo stesso finale: le violenze, la fuga, una vita nuova da rifare da zero, senza risarcimenti o agenzie internazionali. Lasciando tutto: le case, ogni avere, i genitori defunti nei cimiteri. Molti hanno taciuto per anni. L'esodo è dimenticato. Gli ebrei vivevano a Tripoli dai tempi dei Romani, secoli prima degli arabo-musulmani. Poi la lunga dominazione ottomana, la «dhimmitudine» - protetti ma sottomessi - e il colonialismo. Nel 1911, sotto il controllo italiano, in città vivevano 19mila musulmani e 6.500 ebrei. Quella grande città cosmopolita era arrivata a contare 33 sinagoghe, nell'antico ghetto fatto di vecchie case con portici e ballatoi, colonne di arenaria, vasche e pozzi. È rimasto ben poco. «Vuoti urbani» dice Ortona da architetto. Vuoti trasferiti nella memoria. La cattedrale ormai è una moschea. Il cimitero ebraico non c'è più. Tutto spazzato via, anche la sua casa. Demolita ai tempi di Gheddafi, ora c'è un parcheggio all'aperto. L'indirizzo era Shiara Uahran numero 7, quartiere Dahra. In quella palazzina anni Trenta, stretta e lunga, al primo piano vivevano gli Ortona, al terreno la famiglia di un meccanico. Al civico 1 c'era l'Ambasciata d'Italia. Vicino, il mare. Dopo il boom petrolifero, tutti gli italiani furono cacciati.

Yoram ha ricostruito un mondo. «Non avendo planimetria mi sono regolato con Google maps» spiega. Quella casa «depositaria di memorie, vissuti ed esperienze irripetibili» è rinata, a Milano, sotto forma di plastico. Ha comprato listelli, cartoncini, colle speciali. Nel plastico ha inserito le immagini della bicicletta, del bus, del Caravelle Alitalia. «Ho ricostruito uno spazio interiore, sentimentale». Mesi di lavoro e flashback familiari: i genitori che ascoltavano Rachmaninov, la stessa musica che ha fatto da sottofondo a quelle notti insonni a lavorare al modello, che anche «Sorgente di vita» ha mostrato in questi giorni in Rai. «È stato emozionante e terapeutico», ammette. Ha ordinato colonnine, palme lampioncini d'epoca. Sabbia rossa e bianca. Yoram conserva ancora gelosamente un ritratto a china che di lui fece, nel 1960, il grande Herbert Pagani, artista e cantautore.

«Tanti anni fa dice - in una bellissima lettera al colonnello Gheddafi, scrisse che i Paesi arabi hanno voluto lavar via gli ebrei dal proprio tessuto sociale, e tutto si è dissolto, volato via come sabbia nel ghibli. Quella sabbia è rimasta un po' anche sulla mia pelle».

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