«Fuori i compagni! Uccidere fascisti non è reato»

Gianandrea Zagato

da Milano

Quelli dell’Antifaschistische action di Berlino lo scandiscono al plurale, «uccidere i fascisti non è reato». I loro compagni di strada, gli autonomi meneghini del centro sociale Orso, lo ripetono al singolare, «uccidere un fascista non è reato». Viale Cogni Zugna ascolta attonita quell’urlo che vorrebbe riportare indietro le lancette dell’orologio.
Qualche serranda s’abbassa, qualche passante cambia marciapiede e i cinquecento antagonisti che in piazza Aquileia, davanti al carcere di San Vittore, stanno già manifestando da una buona mezzoretta, applaudono lo slogan cult sempre di moda. Lo stesso che i volantini declinano esprimendo solidarietà «agli antifascisti arrestati» e lanciando un appello finale, «contro il fascismo non un passo indietro». Anzi, «contro il putridume nazi-fascista rivendichiamo tutto» ovvero «sosteniamo senza riserve i militanti antifascisti che lo Stato imprigiona e che, sabato scorso, sono stati costretti a ingaggiare una prova di forza, una guerra aperta contro i padroni».
Lessico che riassume senza riserve la paternità della guerriglia metropolitana scatenata nel cuore di Milano e la condisce con il peggio del peggio, da «dieci, cento, mille Nassirya» al retrò «fascisti e polizia, vi spazzeremo via». Due ore di coretti e slogan cari agli autonomi costretti, ieri pomeriggio, a mantenere fede a un impegno preannunciato online, «è un presidio fuori dal carcere, non c’è spazio per forzature e provocazioni di alcun genere». E così c’è solo «spazio» per proclami militanti da quell’impianto sound system che, confidano, «costa un occhio della testa». Come dire: scatenare un pomeriggio di guerriglia a due passi da corso Vercelli, una delle arterie commerciali più battute dello shopping in salsa ambrosiana, significherebbe non riportare a casa quell’impianto acustico messo a disposizione dai compagni del centro sociale Pergola. Già, i cinquecento e più agenti in servizio non andrebbero tanto per il sottile in caso di scontri e, dunque, meglio impallare San Vittore con musica e gridare che «la battaglia continua insieme a tutte le realtà e soggettività che vogliono contrastare la presenza fascista nei territori».
Primo atto? Strappare in mille pezzi quei manifesti che, in piazzale Aquileia e vie adiacenti, mostrano le immagini della devastazione compiuta in corso Buenos Aires dai bravi ragazzi di sinistra. Operazione seguita dalla diffusione brevi manu di un manuale di «autodifesa politico-legale» dal titolo eloquente, «Un bel tacer non fu mai scritto»: centoventotto paginette «contro la repressione dello Stato» perché, avvertono i diffusori, «l’antifascismo è militante, non si delega». Avvertenza che ben conoscono gli otto-autonomi-otto arrivati da Viterbo a Milano in treno e che al presidio si scambiano parole d’ordine con i cinquanta bolognesi, «fuori i compagni dalle galere, dentro gli sbirri e le camicie nere».
Tutto il peggio di un repertorio sbiadito dal tempo che, dall’altra parte di Milano, il Leoncavallo preferisce non replicare: lì, in via Mancinelli, gli autonomi del centro sociale doc commemorano «Fausto e Iaio uccisi dallo Stato e dai fascisti».

Appuntamento della memoria col pugno chiuso e zero lo slogan, anche perché è presente il futuro parlamentare Daniele Farina, portavoce del Leonka che Rifondazione candida alla Camera: meglio evitare problemi, prendere le distanze dai compagni di piazza Aquileia che continuano a sentirsi sempre di moda perché «uccidere un fascista» per loro «non è un reato».

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