Fuori dal mondo

La fragilità del governo Prodi è evidente. S'intensifica il dibattito su quel che succederà in autunno, su una possibile soluzione alla Merkel. Il destino dell'esecutivo in carica, peraltro, non dipende tanto dal suo non essere capace di resistere alle lobby e alle lottizzazioni (cosa vera) come suggeriscono sul Corriere della Sera Mario Monti e Francesco Giavazzi, ed Eugenio Scalfari su Repubblica. E d'altra parte il merito principale della pur bravissima Angela Merkel non è stato quello tecnico di tenere a bada sindacati e imprenditori (la recente riforma sanitaria tedesca dimostra il contrario), quanto quello di avere fatto una seria riforma istituzionale e di avere corretto la dissennata politica estera schroederiana. Anche in Italia quello che è in ballo è il più politico dei problemi politici: gli orientamenti internazionali del nostro Paese. Non si tratta di condividere o meno gli indirizzi della Farnesina: si può dissentire profondamente dalla politica estera gollista di Parigi, di un Jacques Chirac arrivato alla fine della sua lunga storia, ma non si può dire che la Francia non abbia un'autonoma politica estera. E questo le consente anche di prendere iniziative importanti come la proposta di risoluzione all'Onu congiunta con gli Stati Uniti sulla crisi libanese. Il problema della maggioranza prodiana è che non ha una politica estera: non si propone per questo o quel ruolo internazionale, ma è invece essenzialmente interessata a tenere buoni i vari Oliviero Diliberto, Fausto Bertinotti, Paolo Cento e così via.
Tutto nasce dal voto del 9 e 10 aprile: Margherita e Ds pensavano di sfondare al centro, di potere contare per il dopo su una maggioranza autonoma dall'ala estremista e di poter esercitare in politica estera posizioni magari radicali ma sensate. Non è andata così, ma nonostante il risultato si pensa di potere andare avanti senza «politica» assommando sulle questioni internazionali furbate diplomatiche a sparate demagogiche. Pierferdinando Casini, allievo di Arnaldo Forlani e dirigente dell'internazionale Dc, in grado di sentire rapidamente il polso di politici come José Maria Aznar o dirigenti di Cdu e Csu, ha colto bene l'inconsistenza in politica estera del centrosinistra, e giustamente sottolinea la questione degli interessi nazionali che da questo andazzo sono logorati.
In questo senso è ragionevole proporre, per attutire i rischi per l'Italia, una soluzione di unità nazionale (politica non tecnica, come vorrebbe Monti) che permetta di affrontare i problemi più gravi della crisi e di tornare a votare in una situazione meno drammatica. Ma se questa è la situazione, se questa è la sua gravità, se le risposte devono essere all'altezza di una fase così complessa, appare poco comprensibile l'idea di andare avanti con iniziative minoritarie, più attenti agli interessi di un partito pur importante ma minore come l'Udc che a quelli della Nazione. L'operazione coalizione Merkel è stata fatta tra due grandi partiti nazionali, Spd e Cdu-Csu, che mettono insieme il 70 per cento dell'elettorato. E liberali e verdi sono restati fuori dalla coalizione anche per consentire all'elettorato di contare su un'opposizione ragionevole. Questo è il modo di fare imprese politiche nell'interesse del Paese non come copertura di piccoli interessi di partito.

Questa è la via anche per affrontare la crisi ormai aperta del centrosinistra. Su questo obiettivo i partiti del centrodestra che fanno riferimento al partito popolare europeo (e tra questi ormai si deve considerare An) dovrebbero concordare una strategia dotata di un reale respiro nazionale.

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