Con oggi sono tre giorni, che grazie a Mario Giordano parliamo dei furbetti delle pensioni. La lista è lunga e la continueremo a compilare. Dopo sei riforme in venti anni, occorre farne un’ulteriore che renda il sistema più equo e che corregga alcune macroscopiche storture che arrivano dal passato. Quello delle pensioni è uno scandalo per tre motivi principali.
1. Alcuni privilegiati si beccano assegni da nababbi, sostanzialmente a spalle della collettività.
2. Circa la metà dei pensionati italiani (che sono 18 milioni) deve invece fare i conti con pensioni inferiori ai 500 euro.
3. L’Italia (dati Ruef del 2010) spende per la previdenza il 15,4 per cento della ricchezza che produce e incassa il 14 per cento. Insomma ballano una ventina di miliardi di euro, che ogni anno si coprono grazie ad imposte sulla collettività.
Il gioco degli stipendi e delle pensioni da milionari ha un alto grado di demagogia. L’invidia sociale è una brutta bestia: chi si merita molti quattrini per le proprie doti è giusto che li ottenga. Ma il tema delle pensioni è diverso. E conviene ridurlo alla sua essenzialità. Come ormai è stabilito per le nuove generazioni, la pensione è semplicemente il corrispettivo di ciò che ogni lavoratore ha risparmiato (pubblicamente) durante la sua vita professionale. Ogni anno accumulo tot e alla fine della mia carriera percepisco i quattrini rivalutati, per la mia vecchiaia. Proprio per rendere il trattamento più generoso (si fa per dire) è necessario allungare gli anni lavorativi, di modo che si possano accumulare più contributi e rendere l’assegno pensionistico più simile allo stipendio. Bene: questa banalità vale per tutti, tranne che per i pensionati di oggi.
Amato, Di Pietro, Prodi, ma anche il privatissimo manager Mauro Sentinelli, si portano invece a casa assegni che nulla o poco hanno a che vedere con la loro contribuzione. Pensate un po’ voi, per fare l’esempio più clamoroso: il Parlamento ogni anno paga 220 milioni di euro in pensioni e ne incassa 15 come contributi. Secondo voi chi ci mette la differenza? Ovviamente i contribuenti italiani, con le loro imposte. Il caso dei politici è quello più eclatante: sono pochi e si prendono molto. Ma il discorso vale per numerose categorie privilegiate che hanno goduto di trattamenti pensionistici in deroga sia in termini di contributi sia di regole normative.
Tra qualche anno ci troveremo nell’imbarazzante situazione di avere due Italie anche nel mondo pensionistico. Oggi già esistono nel lavoro: da una parte i protetti e dall’altra gli invisibili. La stessa situazione si creerà per la previdenza. Da una parte i vecchi pensionati e dall’altra i nuovi. Questi ultimi, dopo aver sopportato per tutta la loro vita lavorativa i costi delle vecchie pensioni, si vedranno riconosciuti assegni ridicoli. Cornuti e mazziati.
Il segreto è l’opacità. La materia pensionistica è una bomba a scoppio ritardato e il cui libretto di istruzioni è scritto in aramaico. È difficile rendersi conto di quanto ci sta avvenendo: è impossibile sapere cosa avverrà tra 20-30 anni. I cosiddetti parasubordinati sono i paria del nostro mondo lavorativo. Ma sono anche numerosi: quasi 2 milioni. Pagano contributi da favola, incassano stipendi a singhiozzo e sono, con tutta probabilità, destinati ad assegni pensionistici da incubo.
Certo, grazie ai loro contributi si fa finta di mettere in ordine l’ultima riga dei conti. Ma è una finzione appunto.
Il governo ha già fatto una miniriforma che darà i suoi buoni frutti. Mini, perché è passata inosservata. E buona perché allunga surrettiziamente (senza grandi manifestazioni di piazza) l’età in cui si andrà in pensione legandola al cresciuta aspettativa di vita. Ma, si tratta ovviamente di un pio desiderio, dovrebbe avere il coraggio di fare di più e rompere il tabù dei diritti acquisiti. Mettiamola così: non si può pensare che un diritto di oggi, anche se derivante da un furto di ieri, sia intoccabile. Non si può tagliare e giustamente in tutti i settori e dimenticare che un euro ogni tre di spesa pubblica se ne va in pensioni.
Si deve mettere ordine nella giungla dei privilegi del passato e tagliare senza indugio.
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