GÜNTER GRASS «Il mio passato nelle Ss»

Sessantun anni di silenzio. Poi la confessione: sono stato nelle SS. Un fulmine dal cielo se la confessione arriva dallo scrittore più significativo della Germania post-bellica, il Premio Nobel Günter Grass, da sempre icona della sinistra tedesca e del pacifismo europeo. «Sono stato spinto da un impulso interiore. Basta. Dopo anni di sensi di colpa, poi diventati una vergogna da nascondere, dovevo farla finita. Dovevo dirlo». E per dirlo Grass, 79 anni a ottobre, ha scelto una lunga intervista con il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung che lo pubblica oggi nel supplemento settimanale, insieme ad un’anticipazione dell’ultimo libro dello scrittore, a disegni originali e a fotografie inedite dei suoi anni giovanili.
L’occasione del colloquio era infatti la prossima uscita in settembre dell’autobiografia dello scrittore di Danzica dal titolo bizzarro, Beim Häuten der Zwiebel (Sbucciando la cipolla). Ma non è stato il gusto della bizzarria a consigliare all’autore questo titolo, bensì l’intimo bisogno di arrivare finalmente al nocciolo di una questione con cui lui stesso, come la maggior parte dei suoi connazionali e coetanei, come tutto il suo Paese, non ha ancora fatto i conti fino in fondo: l’adesione al nazismo. «Scrivere è come sbucciare una cipolla, ogni frase è come un velo della buccia che si va a togliere. I ricordi confusi, le nostre giustificazioni, le cose cancellate o dubbie della nostra vita diventano, man mano che si sbuccia, leggibili e chiare».
Come quella giovanile adesione, non più come si era creduto fino a questo momento, un servizio di leva nella contraerea, ma un arruolamento nelle Waffen-SS, i reparti militari d’élite delle SS, al comando del Reichsführer Heinrich Himmler, già potente capo della polizia e in seguito ministro degli Interni. E c’è un altro particolare scottante: l’arruolamento nelle Waffen-SS era volontario. Anche se la scelta, per il giovanissimo Grass, non fu del tutto volontaria, almeno per quanto riguarda il corpo. Lo racconta lui stesso: «Avevo 15 anni e feci domanda per arruolarmi in Marina più che altro per andarmene di casa. Ma la domanda lì per lì non fu accolta, come accadde ad altri ragazzi della mia età: un anno dopo arrivò la cartolina. E sulla cartolina c’era scritto Waffen-SS di Dresda».
Grass non rivela se si rese conto di dove era capitato. Nell’autobiografia parla di naia durissima, ricorda di essersi gravemente ammalato di itterizia ma di avere avuto diritto solo a un paio di settimane di malattia, di essere poi stato mandato in perlustrazione dietro le linee russe dove si salvò per un pelo. Dichiara anche (per strano che possa sembrare) di non avere mai sparato un colpo. Che significato avessero per le popolazioni dei Paesi occupati quelle due «S» a forma di fulmine sulle mostrine, lo apprese solo dopo, quando, crollato l’esercito e sciolta la sua divisione, il comandante gli consigliò di disfarsi al più presto dell’uniforme.
Prigioniero di guerra a Bad Aibling (dove conobbe l’attuale papa Benedetto XVI) Grass incominciò la sua nuova vita di tedesco «denazificato», nascondendo come tanti il suo passato. Ma quella scelta giovanile rimaneva dentro di lui come una ferita aperta. È quella la chiave di lettura del suo primo romanzo di successo, quel Tamburo di latta in cui la satira della Germania nazista adombra anche altre verità. «Dopo il 1945 si è parlato e scritto come se il nazismo fosse stato un’improvvisa oscurità. Un’orda di individui neri ha conquistato il povero popolo tedesco. Ma io ricordo invece, quando ero bambino, che tutto avveniva alla luce, con molto entusiastico consenso. Soprattutto di noi giovani. E questo va finalmente detto».
Una presa di posizione coraggiosa come coraggioso era stato l’altro libro di Günter Grass che aveva fatto sensazione, Im Krebsgang (Il passo del gambero) in cui rivendicando ai «cattivi» tedeschi il diritto di piangere non soltanto le vittime fatte ma anche i propri morti (tra cui molti innocenti) raccontava l’affondamento della nave «Wilhelm Gustloff» colpita il 30 gennaio 1945 da tre siluri lanciati da un sommergibile russo. La nave era piena di profughi dalla Prussia orientale, soprattutto donne e bambini. Morirono in diecimila.
I profughi dai territori orientali sono stati uno dei drammi della Germania sconfitte e oggi Günter Grass, lo scrittore che alla caduta del muro di Berlino dichiarò (in completa controtendenza) che avrebbe preferito due Germanie, per non correre il rischio di nuove tentazioni militariste, rivela che l’essere profugo ha segnato pesantemente la sua stessa vita.

«Come figlio di profughi (mi definisco ancora così anche se sono alle soglie degli ottant’anni), a me non è rimasto nulla del mio passato. Tutto sparito, salvo alcune fotografie salvate da mia madre. Chi è nato, che so, a Norimberga o sul Lago di Costanza, non può capire che cosa questo significhi per me».

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