Stenio Solinas
«Personaggi così non ne nasceranno più» mi dice Mario Cervi al ristorante del Circolo della Stampa. Si è appena conclusa la serata in onore di Gaetano Afeltra, ma più che la paludata commmemorazione di una grande firma il pubblico che gremiva il bellissimo Salone Napoleonico ha assistito a una stupefacente serie di aneddoti, battute, imitazioni ad opera degl oratori sul palco, Cervi appunto, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, il direttore di Libero Vittorio Feltri, il presidente dellOrdine della Lombardia Franco Abruzzo. Un modo scanzonato di ricordarlo che a «Gaetanino» sarebbe piaciuto, in sintonia del resto con chi ha dato del mestiere del giornalista la più lapidaria e incontrovertibile delle definizioni: «Una professione inutile di cui non si può fare a meno».
«Sai che Afeltra viveva in albergo, al Principe di Savoia?» riprende Cervi. «Sì, lo ha ricordato anche Feltri, con lammirazione dellallievo di fronte a un maestro. Come ha detto? Ah, sì: Lo invidiavo perché riusciva ad avere una famiglia e una casa e contemporaneamente a fare la vita dello scapolo». «Cè però un particolare in più che ti spiega il tipo umano» prosegue Cervi: «lalloggio al Principe era il frutto di un accordo con lEni fatto quando era direttore del Giorno. Rimase in vigore anche successivamente, poi, dopo alcuni anni, un po timidamente la direzione fece presente ad Afeltra che, insomma, lEni aveva smesso di onorare quellimpegno...Bene, subentro io, però mi dovete applicare lequo canone.... Ecco, lui era così». In mezzo secolo di carriera Afeltra ha tenuto a battesimo o sotto controllo il meglio della stampa italiana e laneddotica su questo re senza corona è una sorta di fiume in piena. La volta che, inviato Montanelli negli Stati Uniti, gli ingiunse di descrivergli New York dalla finestra del suo albergo... La volta che convinse Dino Buzzati a raccontare un delitto facendo parlare il cadavere... La volta che avendo accompagnato lallora presidente della Repubblica, Gronchi, dopo il rituale saluto di commiato, «Presidente siamo nelle sue mani», non poté trattenersi di aggiungere, lillustre ospite ormai lontano: «in che mani siamo...».
Paolo Mieli ha ricordato quando, direttore della Stampa, scoprì che Afeltra conosceva meglio di lui anche il più oscuro corrispondente di quel giornale. Vittorio Feltri ha raccontato di quando, avendo avuto lofferta di dirigere LIndipendente, andò a chiedergli consiglio portandosi dietro qualche numero da mostrargli. «Comè bello, pulito, pulito... Più che un quotidiano mi sembra una lapide mortuaria » fu il commento. «Vitto sì proprio lo vuoi dirigere tu lhai aspurcà».
Uomo macchina per eccellenza, Afeltra arrivò alla scrittura tardi, per colpa anche di Montanelli che se accettava da lui lezioni sul cosa scrivere, riteneva però giusto dargliene sul come scrivere. «Gaetanino non è cosa per te» gli disse quando Afeltra manifestò lidea di cimentarsi in qualche elzeviro. Quel «non è cosa per te» se lo portò dietro per trentanni, prima di dare il via alle cataratte della memoria. Fra i tanti ritratti che ci ha lasciato, quello del più «mitico dei direttori», Mario Missiroli, rimane esemplare nel suo mettere a confronto due caratteri e due modi di intendere la professione. Alla morte di Giuseppe Antonio Borgese, Afeltra, con le agenzie in mano annuncianti il decesso, andò commosso da Missiroli. «Direttore, Borgese, il grande collaboratore del Corriere di Albertini, limmortale romanziere di Rubè, il coraggioso saggista antifascista di Golia, non è più fra noi». Missiroli sollevò gli occhi: «Ah, è morto il povero Peppe Antonio. Due colonne, Gaetanino, taglio basso»... Erano gli anni Cinquanta.
Ideato, voluto, organizzato e condotto in scioltezza da Luciana Baldrighi, in collaborazione con il Circolo della Stampa nella persona del suo presidente Giuseppe Gallizzi e la Rcs MediaGroup rappresentata da Piergaetano Marchetti, la serata è scivolata via in un baleno, grazie anche allausilio di Claudia Buccellati che ha letto i saluti del vicesindaco Riccardo De Corato, del presidente della Provincia Filippo Penati, del prefetto Gian Valerio Lombardo e del questore Paolo Scarpis.
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