RomaDario Franceschini rompe il silenzio osservato durante il congresso Pdl e la lunga trasferta in Cile. E - dopo aver spiegato che Berlusconi «è vecchio dentro», mentre il mondo pullula di «leader giovani e dinamici» - sceglie di andare allattacco imbracciando unarma che proprio nuova di zecca non è: il conflitto di interessi, lo strapotere mediatico del premier, le censure di Mediaset che «oscura» lopposizione.
Parla ai giornalisti della stampa estera e respinge con sdegno la «sfida di Berlusconi», che è solo «un imbroglio agli italiani»: «No grazie, non mi candido alle europee: farò come Fini che è un uomo di destra ma una persona seria». Piuttosto, Franceschini fa autocritica (anche quella già sentita varie volte nelle ultime legislature) sul conflitto dinteressi: «Fu un errore non approvare quella legge nel 2008», dice. E azzarda che forse fu per quel timore che Berlusconi accelerò, «con lacquisizione di alcuni senatori», la caduta di Prodi. Sorvolando sul fatto che, allepoca, il centrosinistra ammetteva chiaramente di non avere i numeri per quella legge, visto il dissenso di diverse sue componenti.
Ma la partita delle Europee è assai importante per il neo-segretario, e lantiberlusconismo - nuovo o vecchio che sia - un leit motiv necessario per tenere gli elettori. E forse è anche per questo che dal Pd si lasciano trapelare stime assai più drammatiche di quelle riportate dai sondaggi commissionati da Franceschini, che vedono il suo partito assai più vicino al 27% che a quel 24% che viene sussurrato. Daltronde, come osserva lesponente del Pd Roberto Giachetti, «a Dario conviene alimentare un certo terrore della debacle», sia per mobilitare lo zoccolo duro, e sia perché così sarà più facile presentare un risultato che si avvicini al 30% come un grosso successo di tenuta. Sempre che non si concretizzi lo scenario allarmante di un Pd che, in tutto il Nord (che comprende anche regioni come Emilia Romagna e Liguria, finora roccaforti per la sinistra), finisca in coda a Pdl e Lega, terzo partito nazionale.
Se però le Europee non andranno troppo male, Giachetti ne è certo, «Franceschini resterà al suo posto molto più a lungo del previsto». Sempre che non si rimetta in moto, dentro il Pd, la macchina tritasassi che ha già fatto a brani svariati leader. «Finora, per sua fortuna, a Dario è stata risparmiata la guerriglia interna che è toccata a me», ripete Walter Veltroni, che sa bene di che parla.
Ma non è detto che continui così, e lo stesso segretario del Pd, che per quanto giovane non è certo un pivello della politica e conosce bene i suoi polli, ha iniziato ad avvertire i primi scricchiolii. «Ricomincia il solito vecchio gioco», si è lasciato sfuggire ad esempio quando dal Cile ha letto le aperture di DAlema a Fini sulle riforme. Dopo un primo momento di appeasement, lex ministro degli Esteri e lala post-Ds che a lui fa riferimento iniziano a dar segni di malumore verso il segretario, troppo ancorato alla linea veltroniana e poco propenso a consultare i big di quellarea (per esempio nella partita Rai).
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