A Springfield, dove è nato l'inventore del basket, ha bevuto la stessa acqua William Burnett, che un giorno ha deciso di descrivere il mondo con gli occhi di un malavitoso. Oggi ci serve lui più di James Naismith anche se, all'origine, proprio il pastore di Almonte non aveva previsto arbitri, perché pensava che i ragazzi potessero amministrarsi da soli. Magari fosse stato davvero così, perché adesso il basket non finirebbe nella voluttuosa pagina delle schifezze, quella dove chi non riesce mai ad ottenere un complimento, gli arbitri poveretti vivono così, preferisce pagarselo in qualche modo: favorendo chi poi li farà promuovere.
Ci mancava anche questa alla fresca presidenza del Dino Meneghin che ieri, accompagnato dal segretario Bertea e dal capo della procura federale Valori, è andato a Reggio Calabria per chiedere a Maria Luisa Miranda, il magistrato che conduce l'inchiesta su quella che i crudeli chiamano già «baskettopoli», se poteva portarsi a Roma il faldone da sottoporre alla giustizia federale per i provvedimenti più urgenti. C'è da star male pensando che il gip Kate Tassone ha emesso misure interdittive nei confronti di Giovanni Garibotti, ex presidente del comitato arbitri, Giovan Battista Montella, ex responsabile del settore commissari speciali, Alessando Campera, ex designatore dei C.S., ipotizzando reati come l'associazione a delinquere finalizzata all'abuso d'ufficio e alla frode in competizioni sportive. Per lo stesso reato sono anche indagati 53 fra arbitri e commissari appartenenti alle categorie della serie A dilettanti, diciamo la terza serie, della A1 e A2 femminile, scendendo alla quarta e quinta serie.
Un Meneghin sconvolto e giustamente preoccupato perché sembra evidente a tutti che gli arbitri promossi con dolo in categorie superiori non possono essere diventati improvvisamente dei leali gestori dell'equità competitiva.
L'inchiesta è partita da Reggio Calabria, su denuncia di Alessandro Cagliostro, l'arbitro che fece squalificare per 9 giornate, accusandolo di aggressione, l'ex azzurro Morandotti quando svernava nel Castelguelfo, unaccusa che ha trovato anche l'appoggio del casertano Vincenzo Luongo e del pesarese Alberto Iacomucci, i due ex arbitri che al magistrato hanno mostrato i documenti con i quali, alla fine del 2007, avevano spiegato la descrizione del sistema che controllava i campionati «minori», una rete che favoriva chi faceva vincere le società protette, inviando la segnalazione agli indirizzi di posta elettronica della Procura federale, del Coni e dei comitati regionali arbitri, ma quell'inchiesta si era chiusa con un nulla di fatto.
Un brutto pasticcio che qualcuno pensava dunque di poter nascondere, ma ora la magistratura ha schiacciato sul marcio e tutto verrà alla luce, anche se sembra impensabile sospendere le finali dei campionati minori come vorrebbero alcune società che sono pronte a testimoniare il perverso meccanismo. Un gioco pericoloso che renderà irrespirabile anche l'aria della serie A adesso che si avvicinano i verdetti finali.
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