Garlasco, la verità del giudice «Niente prove contro Alberto»

PASTICCI Critiche anche ai Ris: «Non hanno fatto indagini sul sangue trovato sui pedali»

MilanoNé prove né movente. È il ritratto di una inchiesta costruita sul nulla quella che il giudice Stefano Vitelli dipinge nelle motivazioni della sentenza con cui tre mesi fa assolse Alberto Stasi dall’accusa di avere ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi, a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2006. Ad uscirne malconce sono l’attività della Procura di Vigevano, che ha puntato fin dall’inizio sul giovane studente della Bocconi come unico possibile colpevole, e soprattutto i carabinieri della locale compagnia, accusati dal giudice di avere devastato - aprendo il computer di Stasi - delle prove che potevano risultare decisive.
Sono 158 pagine che lasciano poco spazio a dubbi, quelle depositate ieri dal giudice Vitelli. Secondo il giudice, non solo non c’è prova che Stasi abbia commesso il delitto, ma c’è anzi la prova inequivocabile che non l’ha commesso. Nel momento in cui la sua ragazza veniva aggredita e uccisa Alberto era a casa sua, dall’altra parte del paese.
Lo dimostra il suo alibi, confermato - nonostante i pasticci combinati dai carabinieri - dal computer su cui lavorava alla tesi di laurea. Anche se l’intervento degli improvvisati tecnici dell’Arma ha cancellato ben il 73,8 per cento dei files visibili, nella memoria del pc sono rimaste altre tracce, «le particolari informazioni che si trovano fuori dal sistema operativo, i cosiddetti metadati».
Alle 9,12 di quella mattina, Chiara Poggi è ancora viva, perché disattiva l’allarme antintrusione della sua villa. Viene uccisa non molto dopo, e l’aggressione dura parecchi minuti. E Alberto non può essere lì, perché - dicono i metadati - alle 9,35 è ancora a casa sua, dove accende il computer, e prima di mettersi a lavorare fa il suo consueto tour di foto porno. Alle 9,38, alle 9,41, alle 9,47, alle 9,50, alle 9,57 e alle 10,05 apre altrettante immagini hard. Alle 10,17, finalmente, si decide a iniziare a lavorare alla tesi, e va avanti senza interruzione fino alle 12,20. Quando stacca la spina, Chiara è già morta da un pezzo, e l’assassino ha già abbandonato la villa della famiglia Poggi.
E non è tutto. Perché alla solidità dell’alibi la sentenza contrappone l’assenza del movente. Nulla, secondo il giudice, può portare a ritenere che Alberto Stasi avesse un motivo per uccidere con tanta ferocia la propria fidanzata. In due anni e passa di indagini, la Procura è riuscita solo a adombrare la spiegazione del movente pornografico, con Chiara che si indigna alla scoperta delle abitudini un po’ morbose del fidanzato, e lui che reagisce massacrandola. Ma così non è, dice il giudice, anche perché Chiara conosceva da tempo il vizietto di Alberto. E non ci fu nessuna lite tra Chiara e Alberto la sera prima del delitto.
«Gli accertamenti peritali sono giunti alla conclusione che la sera del 12 agosto 2007 non sono stati visualizzati filmati di natura pornografica e/o pedo-pornografica sul portale in uso da Alberto Stasi. Dunque Chiara Poggi quella sera sicuramente non poteva aver visto sul portatile in uso al proprio fidanzato né immagini né video di natura pedo-pornografica».
Nella coppia, dice il giudice, regnava il sereno.

L’analisi di una chat del primo agosto 2007 tra Chiara e Alberto fa emergere questo quadro idilliaco e «la preoccupazione di Stasi di poter conciliare a pieno i propri impegni con il passare molto tempo con la fidanzata». La parola passa ora alla Procura di Vigevano: se deciderà di impugnare l’assoluzione di Stasi, il processo d’appello si terrà a Milano.

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