Gatlin freccia record Il più grande nei 100 «È dedicato a Dio»

Riccardo Signori

Sì, l’ha vinta. La medaglia d’oro di campione del pianeta. Justin Gatlin, occhi a palla di fuoco, muscoli da ghepardo, 42 passi per correre cento metri da recordman, si è preso anche il primato del mondo dei 100 metri, quello che ti fa re quando non hai altro, quello che ti incorona medaglia d’oro del pianeta quando, nel giro di tre anni, hai conquistato titolo olimpico, titolo mondiale e, appunto, il record del mondo. Ce l’ha fatta a Doha nel Qatar, record ad orologeria previsto da Gatlin e forse dallo sponsor. L’ultima palla di cannone americana nata a Brooklyn 24 anni fa, l’aveva promesso l’altro giorno. Un modo per farsi ricco in ogni senso: economico e sportivo. Gatlin ci è arrivato a modo suo, con quella corsa che cerca il terreno in avanti, mangia metri, coprendone circa 2,40 per ogni passo, spinto da gambe poderose, compatte ed elastiche che fanno il sogno di ogni massaggiatore.
Justin è il quinto recordman nel giro degli ultimi dieci anni, compreso l’imbroglione Montgomery: ha corso in 9”76, un centesimo in meno del 9”77 di Asafa Powell, il gattone giamaicano che, proprio l’anno passato in giugno, si comportò come l’americano: annunciò il record e lo servì sulla pista di Atene. Stranezze di questo mondo, soprattutto perché Powell si eclissò per tutto il resto della stagione, complice un infortunio. Ieri Gatlin ha corso le semifinali in 9”85, poi si è scatenato. Ma nella sua testa c’è ancora un altro tempo: 9”75. Lo aveva promesso l’estate scorsa, subito dopo il successo ai mondiali di Helsinki. E prima o poi ci arriverà. «Ce la potrei fare questa estate in Europa», ha raccontato ieri. «Sono un uomo a cui piacciono le sfide e stavolta la mia accelerazione è stata formidabile». Per ora non c’è altro nella testa di questo ragazzone nato per correre. A casa, da piccolo, lo chiamavano «moto perpetuo». Niente di meglio dello sport, per sfogarsi: nuoto, atletica, football e basket. Ma poi gli piacevano l’arte e la musica, suonava il piano e il sassofono. Talentuoso sotto ogni latitudine. Anche se un giorno questa sua straordinaria energia e voglia di fare venne sintetizzata in un nome: iperattività, ovvero il segno di una patologia, il disturbo del sistema nervoso centrale. Un piccolo difetto che ha rischiato di fargli passare brutti momenti. Gatlin venne pescato positivo al doping per un farmaco prescritto dai medici per tenere a bada il suo problema. Un’inchiesta durata oltre sei mesi gli ha restituito credibilità e buona fede. Ma da allora il gattone di Brooklyn non si è più sottoposto a quella terapia. Gatlin si è rimesso a correre più forte del vento. «Dedico questo record a Dio e ai miei famigliari», ha raccontato ieri, convinto che la sua storia da recordman non si fermi qui. «Oggi sono il migliore dei migliori», si è autocelebrato.
Per la verità un piccolo neo c’è. Il nostro aveva promesso il record nella prima gara della stagione a Osaka, ma quel giorno si fermò ad un 9”95 che smorzò il ghigno che gli attraversa le labbra. «Però sapevo che il record sarebbe arrivato a Doha, perché ho corso tre volte su questa pista e per tre volte ho avuto la possibilità di arrivare al record». Gatlin ha preceduto il nigeriano Olusoji (9”84) e il solito Shawn Crawford (10”04), oramai entrato nella parte della sua vittima.
E da oggi Gatlin torna a correre.

Come sempre. Fin da piccolo, fin da quando era in pancia della mamma che un giorno vide giusto, e sentendolo agitare, disse a papà Willie: «Questo qui ha preso il mio corpo per una pista d’atletica». E fu subito record.

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