La gatta festeggia 35 anni in nome dell’innocenza

È un mistero. Come può l’innocenza più mielosa e ingenua sopravvivere e fare soldi - molti, moltissimi soldi - in un’epoca di fango, pornografia e auto-consapevolezza come la nostra? Ogni giorno tonnellate di scandali, di perversioni sessuali, intercettazioni, verbali e dossier, alibi e contro-alibi, dentro le famiglie, fuori dalle famiglie; e poi ancora adolescenze problematiche, tradimenti, traumi irrisolti, dipendenze, oppure, quando va bene, sovrana indifferenza agli altri. Ed ecco che arriva un’innocentissima gattina col fiocco rosso sull’orecchio sinistro e tutti diventano più buoni, o almeno sorridono per un attimo, anche i più cattivi, anche i mafiosi, e provano un sottile piacere d’innocenza ad appuntarsi una spilla o infilarsi un calzino made in China con sopra stampigliate le buffe e un po’ stupide fattezze di Hello Kitty. È un mistero. Un mistero che va avanti da 35 anni, e va avanti bene: oggi in Italia ci sono 3000 punti vendita Hello Kitty (da noi è arrivata nel 1991, è tra i primi venti marchi più conosciuti su scala mondo), il giro di affari complessivo è stimato per difetto in 100 milioni di euro, il brand è in crescita. Oggi alle 16.30 all’Hello Kitty Store sui Navigli si festeggeranno questi 35 anni di esponenziale colonizzazione delle menti e dei consumi con un evento che sta facendo il giro del pianeta: è già passato da Los Angeles, dove la madrina era ovviamente Paris Hilton, da Londra, Parigi e Barcellona. Ci sarà anche, insieme al vicepresidente Tsujii, la disegnatrice della Sanrio che nel 1974 a Tokyo inventò il «character» di Hello Kitty: eseguirà dei disegni a mano libera del suo personaggio e li regalerà a venti fortunati, e scommettiamo ci sarà la lotta per accaparrarseli. Eppure poche cose sono più infantili, più avulse dalla maturità e dalla bellezza, di questa gattina che ormai possiamo vedere stampata o cucita ovunque, forse unico fenomeno di marketing ad avere raggiunto queste enormi proporzioni: la ritroviamo sulla carta igienica, sugli asciugacapelli, sulle infradito e sulle valigie, sui caricabatteria per cellulari e sugli aerei (la taiwanese Eva Air possiede un aereo dove tutto è marchiato Hello Kitty: dalle divise dell’equipaggio alle posate, fino al minibus che vi accompagna a bordo). C’è pure un albergo, sempre a Taiwan, completamente Hello Kitty. Anche la gloriosa Fender (fornitrice di chitarre a Elvis Presley, Jimi Hendrix, Eric Clapton) e Swaroski hanno in catalogo oggetti ispirati a Kitty White (il primo nome del personaggio, tratto da Lewis Carroll). Non si riesce a pensare a qualcosa che non sia già stato agguantato dalla gattina senza bocca (perché, dicono i fan, «parla col cuore»). Un deriva di massa che Barthes e Baudrillard farebbero fatica a spiegare: l’innocenza sopra le calze a rete, la purezza mescolata al consumo più spinto, si acquista Hello Kitty ma si sposa uno coi soldi.

«In Italia - ci racconta Grazia Belloni, direttore generale di Camomilla, il distributore esclusivo del brand - abbiamo anche un vino Hello Kitty: un pinot nero vinificato in bianco. C’è anche un rosso, e naturalmente il rosé».

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