Gatti: «Ecco perché non ho ucciso i miei zii»

da Brescia

Ha parlato. Guglielmo Gatti, il nipote dei due coniugi bresciani, Aldo e Luisa Donegani, arrestato e ora a processo per il duplice delitto degli zii, è stato interrogato per quasi nove ore. Chi si attendeva una deposizione fiume, è stato accontentato. Chi invece si aspettava elementi in più per far luce sull'omicidio, è rimasto un pò deluso. La sua difesa, la sua teoria è in quattro parole: «Qualcuno mi ha incastrato». Gatti ha ribadito la sua estraneità al delitto, ha risposto con la lucidità, la prontezza con cui superava gli esami nei migliori anni degli studi universitari, peraltro mai completati. Tema base: «Sono completamente estraneo alle accuse». «Sulle domande chiave ha glissato», è stato il commento del pubblico ministero Claudia Moregola, all'uscita dal palazzo di giustizia di Brescia. «Un complotto a tutto campo nei confronti del mio assistito», ha replicato, indirettamente, l'avvocato Luca Broli, difensore di Gatti, aggiungendo: «Non abbiamo intenzione di fare nomi e cognomi, ma ne abbiamo parlato, li possiamo immaginare. È stato difficile rinunciare a un'azione diretta con tanto di querela». E la tesi del complotto, della «macchinazione» è stata prospettata dall'imputato sin dall'inizio della deposizione. «Quello scontrino non mi appartiene», ha detto l'imputato, parlando di uno degli elementi chiave dell'accusa. Si tratta dello scontrino di una gamba di sedano trovata al passo del Vivione, poco lontano dai resti dei due coniugi. Quel pezzetto di carta venne invece rinvenuto, appallottolato, in casa di Gatti.
Per dare peso e forza alla tesi del complotto l'imputato ha parlato di «sbarre del cancello divelte e luci accese» mentre lo stavano sottoponendo al lunghissimo interrogatorio nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 2005. Guglielmo sostiene che che gli oggetti trovati in casa sua e che sarebbero tra le prove contro di lui «sono stati messi lì il 7 agosto, perché rientrando dall'interrogatorio durato circa 11 ore presso i carabinieri sono stato riaccompagnato alle 4.30 del mattino e ho notato che c'erano le stecche del mio cancello divelte e la luce nel mio garage era accesa. Allora ho chiesto agli uomini del Radiomobile di ispezionare la mia casa, ma non c'era nessuno».
Erano giorni in cui Gatti non era ancora indagato, ma aveva capito che «gli investigatori avevano puntato le attenzioni» su di lui. Nonostante ciò, ha detto, «non ho mai pensato di fuggire». L'imputato, poi, su chi avrebbe potuto ordire il complotto, ha detto: «Non spetta a me scoprirlo, è compito degli investigatori». Si è parlato parecchio anche della vita privata dei coniugi Donegani. È stato, in particolare, l'avvocato di parte civile Giovanni Orlandi, a scavare con una raffica di domande, quasi a voler giungere a quello che ancora manca in questo delitto: il movente. Sono quindi emersi dettagli della vita privata, definita da Gatti «godereccia», di Aldo Donegani e Luisa De Leo.
«Una volta vidi - ha detto l'imputato - mia zia dare per strada a una donna un bacio da film». E coloro che conoscevano la famiglie Gatti e Donegani ieri erano in tanti nell'aula della Corte d'assise del tribunale di Brescia. Non pochi coloro che si sono allontanati, al termine dell'udienza, con qualche dubbio in più.

E i testimoni? «In quei giorni sono spuntati tanti mitomani, io non vado al passo del Vivione da almeno 25 anni» aveva detto Gatti durante l'udienza. Di questo e altro si tornerà a parlare mercoledì prossimo, quando, riprenderà la parola l'accusa e chiamato a rispondere sarà ancora Gatti. Poi, toccherà ai testimoni della difesa.

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