Gattuso è il Cassano di turno e adesso si becca la stangata

È la prima volta che gli è successo di perdere la testa, segno forse che c’è sempre un Cassano in agguato dentro di noi. Quando il fantasista di Barivecchia e Ibrahimovic, due tipini mica da ridire, sono arrivati in rossonero, il primo a spiegare cos’è il Milan e come ci si comporta è stato proprio lui. Anzi, con Cassano è stato ancora più esplicito: «Se sbagli qualcosa ti metto in una stanza e butto la chiave». Lezione impartita ma evidentemente non assimilata, almeno a vedere quanto successo martedì sera a San Siro in quella brutta storia con Joe Jordan.
Perché questa volta è stato “Ringhio” a fare la «cassanata». Gattuso ha sbagliato tre volte. E forse non solo lui. Gattuso ha sbagliato la prima volta perché, come capitano del Milan, ha trascinato il blasone del club in una pozzanghera di fango. «È stato un attimo di follia che la società stigmatizza in modo deciso» il commento firmato da via Turati, preoccupati di recuperare il credito messo in discussione. Non risulta infatti agli atti delle partecipazioni continentali dei rossoneri un precedente così inquietante come la rissa finale col Tottenham. I giudizi velenosi provenienti dalla stampa inglese ne sono una velocissima ed esemplare conferma («Milan’s shame», «Milan vergognoso» il più tenero, «crazy Gattuso» il più diretto, “mafiosi” dal Daily Mail il più scontato). C’era da aspettarselo, nonostante l’interessato, in piena notte, si fosse presentato dinanzi alle telecamere per assumersi le responsabilità del folle gesto senza raccontare lo scambio di frasi con Jordan. «È stato un gesto importante» la sottolineatura di Galliani.
«Ho sbagliato perché me la sono presa con uno più grande di me e basta» la spiegazione di Rino Gattuso che tradisce l’educazione ricevuta in famiglia, non si manca di rispetto a una persona più in là con gli anni. Ha fatto bene Rino a non raccontare alcunché delle provocazioni. Se mai ci fossero state («italiano bastardo» la più accreditata, seguita da un giudizio offensivo sulla moglie, scozzese di adozione), come ha fatto sapere il suo procuratore D’Amico, non possono e non devono giustificare la reazione. Ha provato a difenderlo il vice-presidente del sindacato calciatori Grosso chiedendo «di non condannarlo prima che sia giudicato».
Gattuso e il Milan sono consapevoli del castigo in arrivo. Alla squalifica d’ordinanza (per effetto del cumulo di ammonizioni) seguirà quella d’ufficio presa dall’Uefa che ha già fissato per lunedì prossimo una riunione disciplinare. Prevista una stangata con la solita motivazione: quel gesto ha reso una pessima pubblicità al calcio. Tra 4 e 5 turni la previsione. Sarà complicato allestire anche una linea difensiva: l’unico appiglio è il certificato di buona condotta del calabrese nella sua carriera (in 104 partite internazionali una sola espulsione, una media di un giallo ogni 3 partite: non è il curriculum di un crazy). Sul tema vengono coinvolti Allegri (avrebbe dovuto calmarlo, magari prendere in considerazione l’idea di sostituirlo quando ha preso a tempestare di pugni il prato di San Siro per l’ammonizione ricevuta) e qualche esponente della panchina rossonera sempre pronto a “schizzare” fuori a ogni fischio ostile. Esemplare invece il comportamento della società che ha spedito Flamini nello spogliatoio inglese a chiedere scusa davanti a tutto il Tottenham.
Gattuso ha sbagliato la seconda volta perché ha preso per il collo Joe Jordan che non era solo l’assistente di Redknapp ma anche un pezzo della storia milanista, anche se la meno gloriosa. Lo squalo arrivò ai tempi di Felice Colombo e Radice e rimase in serie B con Farina e Castagner. Per quei tempi e per i tifosi di quella generazione, quelli di Milan-Cavese in 60 mila per capirsi, lo scozzese ha rappresentato un tenero ricordo da tenere in bacheca.


Gattuso ha sbagliato la terza volta perché l’aveva fatta franca quando ha stretto con una presa d’acciaio la gola di Joe (nessuna traccia dell’episodio nel referto della terna francese) e, alla fine, persa la sfida, avrebbe dovuto ricacciare indietro il diavoletto che gli ha suggerito di stringere la mano al tecnico Redknapp e di concludere il duello rusticano con Jordan con la testata. La leadership di un gruppo, si può esprimere fisicamente, come ha sempre fatto Rino. Ma stavolta ha dimenticato cosa significhi essere il capitano della squadra che l’ha fatto diventare grande.

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