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"La gavetta mi ha salvato. No alla censura del rap"

Abbiamo seguito ad Amsterdam il "vero" vincitore di Sanremo: "Ora i festival estivi e poi i palazzetti"

"La gavetta mi ha salvato. No alla censura del rap"

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Mahmood nei club più prestigiosi d'Europa.

«Ho trovato un pubblico più pazzo e più caldo del solito, come se mi stessero aspettando».

Saranno tutti italiani.

«No, no, solo metà della platea è italiana, l'altra metà è straniera».

Fa effetto vederla sul palco del Paradiso di Amsterdam dove nei decenni si sono esibiti Pink Floyd, Rolling Stones, Nirvana, Amy Winehouse.

«Onore enorme, e io spero il prima possibile di riuscire a usare più la mia fisicità sul palco».

Mahmood parla a notte fonda nella «pancia» del Paradiso, uno dei club più famosi del mondo nel centro del Leidseplein, uno dei crocevia della vita notturna di Amsterdam. Ha appena cantato sul palco piccolo e fascinoso di questa ex chiesa che a fine anni Sessanta gli hippie trasformarono in uno dei templi del rock (e pure delle droghe). In platea tutto esaurito. Dietro al palco, un dedalo di corridoi e scalette che poi portano ai camerini: «C'è qualcuno dall'alto che mi protegge» scherza lui dopo il successo di una serata liscia, pura, senza eccessi ma totalmente musicale. Non ci sono provocazioni, nello show di Mahmood. Ma si respira la costante ricerca di crescita artistica. Praticamente una rarità oggidì.

Il brano di Sanremo, Tuta gold, è già triplo platino con 160 milioni di stream totali.

«La cosa strana è che ha avuto una reazione più entusiasta di quella ricevuta da Soldi (con cui vinse nel 2019 - ndr). E dire che non volevo andare al Festival, per me quello era un singolo estivo, non me la sentivo di tornare all'Ariston con una ballad. Poi Amadeus mi inserito nella lista finale, ma l'ho saputo all'ultimo. Ma quel brano per me era l'antiSanremo».

Amadeus se ne è andato. Tornerebbe al Festival?

«Sì ci tornerei anche senza di lui».

Lei ha faticato assai prima di avere successo.

«Diciamo che la gavetta è l'unica cosa che ti può salvare. C'è stato un momento, nel 2018, nel quale i miei musicisti erano sempre più disillusi e un discografico mi disse che la mia canzone Urla era la più brutta che avessi mai scritto. Poi ho fatto Nero Bali di Elodie con Guè e Michele Bravi, la prima hit che ho scritto. In quel periodo andavo tutti i pomeriggi alla Universal, ero molto concentrato».

Molti giovanissimi, ad esempio Sangiovanni, dopo i primi successi entrano in crisi e si prendono una pausa.

«A me senza dubbio ha aiutato la gente e lo staff che avevo intorno, altrimenti a 19 anni sarei scoppiato. Invece ho tenuto duro»

Poi è esploso. A che punto è della sua carriera?

«Direi neanche a metà. Almeno lo spero».

Finora ha detto molti no?

«Se dovessi metterli in fila tutti... Quando mi arriva una proposta, lo scopo principale per me è sempre la musica. La parte economica è molto importante, ma per me non è la prima».

Ghali ha invitato gli artisti a esporsi e a prendere posizione.

«Gli argomenti sui quali esporsi sono tanti. Se lo si fa per uno, poi bisogna farlo per tutti e non sempre è facile o possibile. Ghali ha detto stop al genocidio e ha fatto bene. Ma non mi sento di giudicare chi non lo fa».

E invece come giudica chi pubblica canzoni con rapper o trapper che hanno pesanti pendenza penali come Simba La Rue o Baby Gang?

«Io sono dell'idea che sia sempre necessario distinguere l'artista dalla persona».

A proposito: è stato proposto un «protocollo» per regolare i testi violenti del rap.

«A dirla tutta, non sono a favore di nessuna censura per l'arte».

Dopo l'Europa torna in Italia per un tour estivo nei festival prima di esibirsi nei palazzetti in autunno.

«Stare sul palco mi fa bene e mi aiuta a crescere».

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