Trieste Oggi il presidente Antoine Bernheim non potrà più usare il cavallo di battaglia dellandamento del titolo. Lorgoglio di aver portato il prezzo delle azioni dai 14 euro del 2002 a oltre i 40 non va più bene, visto che le quotazioni sono tornate a 15. Ma è la crisi, non le Generali. Che, non a caso, rispetto a un anno fa, hanno perso il 48% del valore, in linea con Allianz (-46%) e Axa (-52%). Tuttavia cè da scommettere che oggi, da parte degli azionisti che come sempre correranno numerosi al palazzo dei congressi della Stazione marittima, qualche mal di pancia per landamento del titolo verrà fuori.
Ma oltre a questo, lassemblea è soprattutto loccasione per dare un ultimo sguardo allassetto dei soci e alle facce dei consiglieri che, da domani, inizieranno a giocarsi la partita del rinnovo dei vertici, tutti in scadenza tra un anno. A cominciare da Bernheim e dai due amministratori delegati Giovanni Perissinotto e Sergio Balbinot. Senza dimenticare lintervista in cui Cesare Geronzi, presidente di Mediobanca (primo azionista di Trieste con il 15,6%) ha detto apertamente che non cè più posto per due ad. Mentre sembra difficile che l85enne Bernheim si candidi per un altro mandato triennale, che porterebbe a 15 anni (contando anche il periodo 95-99) gli anni passati alla presidenza del Leone. Si vedrà. Sta di fatto che la crisi ha solo congelato un percorso di cambiamento dei grandi poteri della finanza, avviato con la fusione Capitalia-Unicredit, a cui è seguito il riassetto di Mediobanca. Un percorso che, da oggi, riprende. E limpressione è che i prossimi mesi siano il terreno su cui misurare per bene i rapporti tra le forze in campo.
Da un lato, forti del 15,6% del capitale, restano Geronzi e Mediobanca, con il suo azionariato dove i pilastri sono i francesi, amici di Bernheim, Unicredit, al momento ancora debole per lo choc della crisi, e i soci privati, tra i quali ha assunto maggior peso il mondo Fininvest-Mediolanum.
Dallaltro ci sono i soggetti meno istituzionali, che in Mediobanca hanno investito di tasca loro. Quali Caltagirone, De Agostini, Luxottica. Ma tra questi, mentre il titolo scendeva, è stato solo Caltagirone a crescere di peso: la sua quota è passata dallo 0,9 all1,5%, mentre il prezzo di carico è sceso da 26 a 20 euro. E gli acquisti non sono finiti: lobiettivo del 2% potrebbe essere raggiunto a breve. Senza dimenticare che si può considerare «vicina» a Caltagirone anche la quota di voti (2,5%) in mano al Montepaschi, dove il costruttore romano è socio e vicepresidente.
De Agostini, invece, è fermo al 2,7%, in carico intorno ai 33 euro, e per effetto della crisi non ha potuto aumentare la quota, né quindi abbassare il valore di carico. Al punto da aver pure ridotto lentità dellequity swap sull1,3% in essere con Credit Suisse. Del Vecchio è rimasto fermo anchegli vicino al 2%. Così come lo sono gli outsider di Ferak (la holding del nord-est di Amenduni-Palladio-Zoppas), che potrebbero però mettersi in gioco con il loro 1,5%.
Nel mezzo cè Intesa Sanpaolo, banca azionista in Generali con meno del 2%, ma partecipata dalla compagnia con quasi il 5%, quota che ne fa il primo azionista italiano, Fondazioni a parte. Ora: Intesa e Generali stanno divorziando sul fronte industriale. La joint venture nella bancassurance verrà sciolta. Cè quindi da capire che ne sarà dei rapporti «finanziari» tra i due gruppi. In virtù dei quali Bernheim è oggi vice presidente del consiglio di sorveglianza e Perissinotto membro del consiglio di gestione della banca. Come noto il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, ha sempre posto la questione dellindipendenza delle Generali dalla filiera Unicredit-Mediobanca. E in questa chiave, forte anche degli storici rapporti industriali con Alleanza Assicurazione (controllata da Generali), Bazoli era uno dei passaggi obbligati nella partita dei rinnovi del vertice triestino.
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