«Il Genoa inglese venne favorito dal fascismo»

«Nel ’19 i rossoblù meritavano di essere radiati per aver pagato lo stipendio a due giocatori. Blucerchiati sempre superiori»

«Il Genoa inglese venne favorito dal fascismo»

Vorrei rispondere alla lettera di Ileana Anfossi relativa alla distruzione della targa di via Paolo Mantovani. In particolare alle considerazioni sulla storia delle squadre genovesi.
Tra la fine dell’800 ed i primissimi anni del ’900 Francesco Dalì (1882-1949) si guadagnò l’appellativo nazionale di «Padre italiano del Calcio Italiano» parallelo a quello del Padre inglese James Richardson Spensley (1867-1915). Costui giocava con gli inglesi del Genoa come goal keeper (portiere), Calì, a sua volta, coi connazionali biancoblù della Andrea Doria come back (terzino).
Come si conviene al Pioniere nazionale, Calì, coi galloni del capitano tenne a battesimo gli azzurri d’Italia fin dalla sua, e loro, partita d’esordio assoluto disputatasi allo Stadio Arena di Milano il 15 maggio 1910 Italia 6 Francia 2 arbitro, of course, l’inglese Goodley davanti a quattromila spettatori tra cui un centinaio di doriani in trasferta accorsi ad applaudire l’unico rappresentante di Genova in campo. L’Andrea Doria figlia dell’omonima ottocentesca e gloriosa società ginnastica vanta il titolo di prima squadra di football a Genova italiana al 100% e fin dai primordi conferì i primi genovesissimi moschettieri azzurri (negli anni Dieci del Novecento), oltre al citato Calì, Luigi Burlando, Adevildo De Marchi, Attilio Fresia, Carlo Galletti, Enrico Sardi.
Cionondimeno si consumò a suo danno un gravissimo abuso di potere da parte del segretario nazionale del partito Fascista Augusto Turati ottanta anni or sono (1926) eppoi sepolto sotto la polvere del tempo. Il «regime», con abili manipolazioni, aveva creata una leggenda metropolitana di cui ancor oggi appare vittima l’Almanacco Panini 2006» ove si legge testualmente a pagina ottantuno «Sampierdarenese e Andrea Doria si presentano unite col nome di Dominanate (nella massima serie 1927-1928, ndr)». La detta proporzione è per metà vera e per metà falsa: fu solo la Sampiedarenese che si presentò alla serie A 1927-1928 col nome di Dominante.
Procediamo a dimostrarlo con ordine:
A conclusione del campionato di serie A 1926-1927 la classifica vedeva nel suo girone (Panini 2005 pagina 445) l’Andrea Doria a 13 punti, la Cremonese a 12 e la Fortitudo di Roma (ultima) a 5. La Fortitudo pertanto sarebbe retrocessa alla serie B (regionale) lasciando in serie A una sola squadra romana la «Alba» cioè la futura Roma (Panini 2006 pag. 78) in cui militava un Fuffo Bernardini adolescente.
Una terza squadra romana, la primigenia «Lazio» a sua volta quell’anno partecipava al girone cadetto (laziale) e si fondeva contemporaneamente colla suddetta retrocessa «Fortitudo». Alla nuova entità oltre alla denominazione «Lazio» fu attribuito il rango (antisportivo in quanto non conseguito sul campo di gioco) di squadra di serie A colla inaudita quanto immotivata soppressione fisica della Andrea Doria che pure come sempre da quasi trent’anni dalla sua nascita anche per quell’anno calcistico (1926-1927) si era largamente guadagnato il titolo di permanenza nella massima serie. In sostanza si volle ridisegnare un arbitrario nuovo equilibrio geo-politico che prevedesse per Genova due squadre in serie A - e non tre - e per l’«Urbe» non una bensì due.
Con ciò si cancellò dalla mappa del calcio una squadra benemerita. E dire che di una altra vicenda antisportiva in clima di puro dilettantismo (1919) era già stata vittima la Andrea Doria allorché le sue due mezzali entrambe «azzurre» Enrico Sordi (1890-1969) e Aristodemo Emilio Santamaria (1892-1974) avevano accettato di passare al Genoa in cambio di denaro (2500) Lire da parte del vicepresidente rossoblù Geo Davidson) con consequenziale inevitabile processo federale (assemblea di Lega a Vercelli nel luglio 1919) con conseguente rischio di radiazione per il Genoa - evitato anche per l’intervento pacificatorio dell’Andrea Doria - parte lesa e con inesorabile squalifica dei ragazzi caduti in tentazione. Come mai fu soppressa fra le tre squadre genovesi proprio l’Andrea Doria? Così, semplicemente, procedendo per esclusione.
La fede rossoblù dell'onnipotente federale di Genova metteva al riparo da brutte sorprese autoritalistiche il Genoa nonostante la «matrice» rossoblù non fosse certo «autarchica» ma anzi fortemente caratterizzata dalla folta colonia di inglesi a Genova che lo avevano fondato, gli avevano, non a caso, attribuiti i colori albionici e continuavano a dirigerlo col consiglio di amministrazione e colla guida tecnica del signor William Garbutt. Dal canto suo la Sampiedarenese godeva di un formidabile privilegio di «intangibilità blindata» vantando Sampiedarena la qualifica (oggi obsoleta ma oggi ambitissima e conclamata ad ogni pié sospinto) di secondo fascio d’Italia. L’unico prezzo imposto dall’alto alla Sampierdarenese fu di cambiar nome per creare confusione nel penoso e vano tentativo di accreditare, così, la tesi dell’inesistente fusione: le fu fatta assumere in principio la denominazione improbabilissima di «Dominante» e, tosto, quella meno supponente e più adeguata di «Liguria» facendo così il paio colla «Lazio» neofita per la serie A (per il fascio due squadre di serie B, fondendosi, generarono una squadra di A), naturalmente dopo il 25 aprile 1945 si tornò, in tutta fretta, all’antico nome di Sampierdarenese sia pure solo per il primo campionato post bellico di serie A precedente quello della fusione (1946-1947) colla rinata (immediatamente dopo la conseguente rivendicazione doverosamente accolta sia dal Governo sia dalla Figc) Andrea Doria che diede origine alla U.C. Sampdoria ed alla sua oggettiva, da allora ad oggi egemonia tecnica in Liguria.
Ecco perché l’agnello sacrificale da offrire alla Città Eterna non poteva essere che la Andrea Doria figlia di un dio minore. L’occhio del regime non era mai stato benevole nei confronti dei biancoblu dove giocavano il giovane Jan Macaggi (futuro illustre chirurgo) e sua fratello Domenico (futuro medico legale, cattedratico e senatore socialista) nipoti degli allora vituperati, antifascisti onorevoli socialisti Giuseppe Macaggi e Narsete Machiavelli. Può non essere un caso che il Presidente «ab initio» della Società il celebre armatore e pubblicista genovese Zaccaria Oberti sia stato indotto a partire, poco dopo, esule in Francia. La Andrea Doria, stroncata «nel fiore dei trent’anni» dovette così esterrefatta, dar addio a tutto: liquidare i conti, abbandonare il campo di Marassi, lasciar liberi dall’impegno di fedeltà i suoi calciatori dilettanti e infine dichiarare il «rompete le righe» anche per il Presidente, dirigenti, tecnici e «supporters». Solo dopo alcuni anni un piccolo drappello di nostalgici tra cui gli armatori genovesi Olivari e Podestà, ad «anni trenta» iniziati ricominciando da zero riesumarono la gloriosa maglia biancoblu in tornei locali giocando non più a Marassi bensì allo stadio Nafta di San Martino risalendo in breve alla serie C in pianta stabile tanto da sfiorare la serie B nel 1933-1934 (l’anno in cui vi cadde per la prima volta il Genoa) mancata per un soffio a seguito di uno sfortunato e chiacchierato spareggio coll’Aquila.
Alla caduta del Fascismo, come s’è cennato, si fece avanti un movimento d’opinione, non di massa ma neppure sparuto, formato da antichi supporters sopravvisuti al sopruso del 1926 e da giovani edotti circa tale evento e desiderosi, generosamente, di far giustizia raddrizzando il torto subito (e/o magari causato) dai loro padri, a danno della squadra biancoblu. Sospinto da costoro un gruppo elitario, determinatissimo, dotato di versatilità organizzativa, di larghi mezzi finanziari e di incredibili, quanto felici, intuizioni tecnico-specifiche si fece avanti e compì il miracolo. Tale facoltoso gruppo imprenditoriale, mercantile e armatoriale innanzitutto come c’è detto ottenne il benestare governativo e della Figc a far gareggiare nuovamente in serie A la Andrea Doria dopo la propria morte (apparente) del 1926. Punta di diamante dell’operazione fu il giovanissimo (classe 1921) avvocato Franco Torresi che trascinò (in una memorabile assemblea federale a Firenze nella primavera del 1945) dalla sua parte cioè a favore della rinascita biancoblu tutta l’assemblea dei delegati di tutte le squadre di A. L’avvocato Torresi che ancor oggi si gode una invidiabilissima e giovanilissima terza età giocando a golf e curando i propri interessi nel paradiso di Rancho la Quinta l’angolo più fascinoso di Palm Spring (California) divenne (a suo dire) doriano «ex novo» per essere stato allievo del liceo D’Oria di Genova in cui si diplomò a pieni voti. Studente universitario fagiolo di giurisprudenza fu richiamato in guerra condividendo con il coetaneo e già allora amico fraterno Gianni Agnelli la esperienza bellica nella campagna di Russia. Al loro ritorno proprio Gianni Agnelli alla citata assemblea di Firenze fu il più valido alleato di Torresi.
Ottenuta la riammissione della Andrea Doria in serie A Torresi si recò a Milano dove comperò quasi mezza Ambrosiana (ritornata l’«Inter») Giuseppe Baldini, Celso Battaia, Piero Rebuzzi I, Dino Bovoli cedendole a sua volta l’ala Giacomo Neri (appena prelevato dal Genoa). Il presidente dell’«Inter» Rinaldo Masseroni cedette Baldini alla Doria «per non rinforzare Milan e Juve» d’altronde, avendo necessità di acquisire la pattuita liquidità cogli imprenditori genovesi. La Andrea Doria eppoi la Sampdoria ha quasi sempre a tutt’oggi beneficiato di amministratori facoltosi e generosi...
Abbiamo parlato di miracolo: in primavera la Doria non esisteva ma a metà autunno (14/10/1945) già iniziava il cammino della serie A (a Milano coll’Inter) che le avrebbe dato a fine stagione la leadership del ricostruito trio genovese: a fine campionato infatti la Doria fu nona, il Genova dodicesimo la Sampierdarenese ultima. In questo contesto i dirigenti della Sampierdarenese (Buttignol Cornetto Fossati) privi di mezzi con un debole parco di calciatori chiesero e ottennero, nella primavera del 1946, di unirsi all’Andrea Doria che godeva invece di ottima salute tecnica organizzativa e finanziaria (Amedeo Rissotto, Aldo Parodi, Franco Torresi e via di seguito).
Alla grande prodigiosa oculatetezza si accompagnava (come s’è detto) un’ottima solidità finanziaria talché i «media» dell’epoca battezzarono col nome di «Club dei milionari» la Andrea Doria prima e a maggior ragione la Sampdoria che già dal suo primo anno di vita si arricchì degli assi Osvaldo Fattori e Andriano Bassetto (futuri azzurri).


Aveva così inizio la bella affascinante storia della Sampdoria e dei suoi grandi Presidenti che per tanti anni hanno portato nel mondo calcistico europeo il nome di Genova con vittorie prestigiose e (perché no?) con sconfitte non meno prestigiose vedi finalissima di Wembley persa al IV tempo col Barcellona, ma chi non vorrebbe arrivare comunque a una finalissima di Coppa Campioni sotto gli occhi (in diretta Tv) di tutto il mondo?
Amerigo Russo

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